Le parole, spesso, pesano come macigni. Soprattutto in una realtà come quella italiana, in cui le parole sono sempre state viatico più di sofferenze che di speranze, di accordi palesi o meno di partiti che hanno finito per avvelenare la vita stessa dei cittadini, oltre che la politica nel senso più nobile della parola. E non è un caso che le forze politiche più rappresentative (ieri) abbiano demandato le proprie prerogative e responsabilità a un governo di tecnici, dicono qualificatissimo, per trovare le giuste soluzioni ad una crisi che impedisce la crescita in Italia e che mette a rischio la stessa idea di Stati Uniti d’Europa. Fino ad oggi, però, e comunque la si pensi, abbiamo solo assistito a misure di austerità insostenibili dai ceti sociali più deboli e che hanno eccentuato ancor di più la depressione dell’economia. I media ci ricordano oggi che il recente Consiglio europeo ci ha dato un po di ossigeno e quindi tocca ora passare alla fase della ripresa. Ma se non si punta sul lavoro e sui giovani, se non vengono ridotti gli squilibri cresciuti a dismisura e quindi supportare finalmente una vera giustizia sociale, non ci sarà mai ossigeno che possa bastare.
Missione del governo non è solo quella di guidare un Paese in tempi di burrasca e riportarlo ad una credibilità perduta nel tempo, ma anche di restituire ai cittadini un sistema politico funzionante e quindi di dare una nuova legge elettorale che non sia più la porcata in vigore; ma soprattutto quella di elaborare un serio ed efficace piano (anche straordinario) per il lavoro e lo sviluppo, magari finanziandolo con una consistente “patrimoniale”. E invece cosa fanno? Varano una contro riforma per regolare il lavoro, iniqua e vessatoria dei più deboli, oltre che inutile perché non porterà mai lavoro ed anzi farà regredire culturalmente il Paese per una sorta di darwinismo sociale atto a distruggere i diritti del lavoro. Il “pensiero unico” di chi vuole traghettare nel girone infernale dei dannati i lavoratori, condannandoli ad una selvaggia competizione per la conquista del lavoro e quindi per la sopravvivenza. Tutto ciò, con la scusante di una crisi economica le cui responsabilità gravano sui soggetti economici-finanziari ma non certo sui lavoratori ai quali però se ne addebitano i costi.
Si, le parole, spesso, pesano come macigni. Anche in realtà come quella girgentana. Prendiamo ad esempio quanto dichiarato, qualche settimana fa, dalla massima carica istituzionale ravanusana: “ mi sono adoperato presso il gestore privato dell’acqua ed avremo una fornitura di 10 litri al secondo in più con rifornimenti ogni 4/5 giorni”. Risulta a qualcuno che ciò sia avvenuto davvero? A me non pare. Ma questa è un’altra storia… La solita, purtroppo!
Salvatore Ferrara