La voce ‘costo rifiuti’ è destinata a far naufragare i bilanci comunali, nel cosiddetto ‘mare dei debiti’. E’ noto lo sforzo dei Comuni per attuare la raccolta differenziata al fine di ridurre i costi, considerato che l’immondizia è una ricchezza, ma non certamente per i cittadini né tanto meno per i Comuni, il cui costo è esorbitante, forse ci riusciranno quelli di due o tremila abitanti, ma dubito seriamente per i Comuni con una popolazione al di sopra di venti-trentamila abitanti.
Facendo un calcolo approssimativo, lo sviluppo urbanistico degli ultimi decenni delle città offre abitazioni per trecentomila abitanti su Comuni che hanno un decimo della popolazione residente, vedi Canicattì, Favara, Licata ecc., per non parlare di Agrigento.
La raccolta differenziata è un’ottima idea, ma per realizzarla in tutto il territorio urbano uomini e mezzi dovrebbero ogni giorno girare per vie e viuzze, salire e scendere, anche dove i mezzi non arrivano, per svuotare, porta a porta, ogni porta delle migliaia di porte, guardando anche quelle chiuse. Spesso l’assetto urbano è così complesso, contorto, irraggiungibile che diventa impossibile, ad esempio nei centri storici. Un tempo sì, e lo ricordo, ma negli anni ’60 i Comuni avevano una popolazione che risiedeva su un fazzoletto urbano.
Oggi per fare questo servizio quotidiano occorre un esercito di operatori ecologici e non quel numero davvero inconsistente di cui dispongono i Comuni: una cinquantina a Canicattì, un centinaio ad Agrigento… pregando il buon Dio che nessuno ogni mattina rimanga legato tra le lenzuola sia per l’età non più giovanile sia per gli acciacchi di madre natura. Facendo una osservazione, un tale recentemente ebbe a dirmi: assumiamo altri operatori (almeno duecento!); e così aggraviamo la situazione finanziaria davvero al limite del naufragio dei Comuni.
E dunque? Chiede il lettore. Già, il dunque. Spesso le soluzioni più semplici sono quelle più volutamente ‘sconosciute’ perché sono semplici e di basso costo. Un ingegnere mi faceva presente che al Nord, qualche Comune ha iniziato ad operare il cosiddetto Compostaggio da Cucina: trasformare i rifiuti alla fonte, cioè nella casa sessa del cittadino, cioè di colui che li produce, evitando tutti i passaggi, considerato che ogni passaggio ha un costo: costo dei sacchetti, costo della distribuzione degli stessi sacchetti, costo della raccolta, costo del trasporto, costo per la divisione, costo per l’imballaggio, costo per l’etichetta, costo per la trasformazione, costo per il conferimento, costo per la benedizione… Sembra la catena di sant’Antonio.
Il Compostaggio da Cucina è un oggetto quanto un tostapane che trasforma l’80% dei rifiuti giornalieri in pellet, concime per la campagna e alimenti per gli animali. Bene a dirsi per chi ha stufe, cani gatti, galline… e campagna, mentre chi sfortunatamente, come me, non ha nessuno dei tre può vendere quanto trasforma, se è vero che i rifiuti sono ricchezza. Con questo ‘strumento’, per usare una metafora prettamente popolare, durante la settimana possiamo conferire, occhio e croce, appena qualche chilogrammo tra vetro (non sempre si rompono i bicchieri), cartone (non sempre riceviamo regali – tranne a Natale) e plastica. Per un venti grammi giornalieri non vale la pena ogni giorno vedere ‘il sudato operatore’: può venire soltanto una volta la settimana e forse ogni quindici giorni, se dobbiamo risparmiare. Non ci sarebbe più bisogno di differenziata, né di operatori, né di trasporto, né di imballaggio, né di benedizione…. E il personale sarebbe ridotto al lumicino così anche i costi annuali che stanno affondando la traballante nave del bilancio dei Comuni, ma qui sta il bello, su cui l’Antimafia era venuta lo scorso anno per capirci qualcosa sul funzionamento dei rifiuti.
Con il Compostaggio da cucina la trasformazione dei rifiuti avviene alla fonte, dove si producono, in cucina, e non dopo la lunga catena di Sant’Antonio con i relativi costi; e che costi non indifferenti!!!.
Facendo un calcolo approssimativo, il cittadino invece di sborsare ogni anno quattro/cinquecento euro avrebbe un introito dello stesso valore o quanto meno nessun costo; e in un periodo di vacche magre, sono soldi al fine di far quadrare il bilancio familiare.
Mi si diceva che il Comune di Agrigento aveva iniziato a distribuire questi ‘strumenti’ chiamati Compostaggio da cucina. Ne distribuì un’ondata, ma quando seppe che tutti li richiedevano fece il finto tondo: forse che sia stato troppo semplice per risolvere un problema annoso e lucroso?
Durante il mio Assessorato a Canicattì avevo pensato di organizzare un Convegno su questo ‘aggeggio’, ma naufragato l’Assessore è naufragato anche il Convegno. È la storia che si ripete, ora a destra ora a manca, in ogni settore. Agli inizi del Novecento non si faceva l’attracco delle navi al porto di Agrigento, perché impedito da coloro che avevano l’appalto per il trasporto dello zolfo dalla riva alle navi distanti; costruendo il porticciolo sarebbe sfumato il trasporto a mano in mezzo all’acqua, in estate ed in inverno, facendo perdere i lauti guadagni al gestore; non si fa il ponte sullo Stretto per quella decina di piccoli armatori (non di più) che trasportano mezzi e persone da Messina a Villa San Giovanni e viceversa. Questi sono alcuni esempi di arretratezza culturale, sociale e politica; una arretratezza che disconosce il Bene Comune.
Nel 1920 Fleming scoprì casualmente – le più grandi scoperte avvengo per casualità – la pennicellina. Ma entrò in commercio quasi vent’anni dopo! Si doveva vedere l’effetto!!!! Ma nel frattempo si crepava per una polmonite o per una stupida infezione. Delle cellule staminali, di cui mi sono occupato personalmente nella ricerca scientifica, è caduto il silenzio, nonostante la comunità scientifica è consapevole che la medicina del futuro si chiami generativa, rigenerando le cellule del tessuto di un organo malato.
Dal conferimento dei rifiuti alla ricerca scientifica (possiamo aggiungere altri argomenti) si evince che arretratezza culturale, sociale e politica e scarso senso di Bene Comune coincidono perfettamente; tuttavia oggi la barca non può più andare avanti, sta naufragando e occorre una veritiera politica dei rifiuti che guardi anzitutto i bilanci comunali, destinati al fallimento. Non rispondere ai bisogni elementari dei cittadini, ad esempio acquistando farmaci di prima necessità, e costringerli a sborsare – quanto si può – a pagare tasse esose, creando l’evasione, è moralmente illecito. Occorre una nuova politica di cui i Sindaci in prima persona devono farsi interpreti e sostenitori.
Enzo Di Natali