E’ vero, prima o poi parleremo tutti l’inglese. Certo i ragazzi sono già avanti in questo senso, ma uomini e donne di mezza età e anche gli anziani, ormai da tempo, hanno acquisito nel proprio lessico tutta una serie di termini che fanno parte del linguaggio comune: black out, air bag, led, corner, light, monitor, low cost etc. Ma da qualche tempo c’è un nuovo termine presente ogni giorno sui giornali o nei notiziari televisivi, un termine così potente che ha determinato il cambio di governo in Italia, un termine che crea grandi preoccupazioni in molte istituzioni politiche ed economiche sia a livello nazionale che internazionale.

Questo termine è: SPREAD. Il termine in inglese ha, come di solito, diversi significati a secondo del contesto, ma per quello che ci interessa in questa rubrica il suo significato principale è quello di DIFFERENZIALE, precisamente differenziale tra il rendimento di un titolo e quello di un altro dello stesso tipo preso a confronto. Quindi lo spread è un termine di paragone che riferito in particolare ai titoli del debito pubblico rappresenta, in termini percentuali, la differenza di rendimento tra un titolo emesso da uno stato e quello emesso da un altro stato.

A questo punto è opportuno introdurre il concetto di rischio, cioè il presupposto che il rendimento di un titolo di stato rappresenta anche il suo livello di rischio: più è alto il rendimento, maggiore sarà il rischio che l’emittente non paghi le cedole e non rimborsi il capitale alla scadenza. Quindi possiamo affermare che se minore è il rendimento di un titolo minore sarà il rischio dell’obbligazione, cioè minore sarà il rischio che la somma di denaro investita nel titolo non venga restituita da chi lo ha emesso.

E’ noto a tutti che al termine spread le notizie economiche quotidiane di giornali e telegiornali collegano, nel nostro caso, il differenziale di rendimento tra il Btp italiano ed il Bund tedesco, un differenziale che sta influenzando e determinando anche le attuali politiche fiscali ed economiche del governo italiano. Ma facciamo qualche approfondimento sul tema.

Btp e Bund, sono entrambi titoli di Stato. Il Btp è il buono del tesoro poliennale a tasso fisso emesso dallo Stato italiano, ha una durata variabile che può andare dai 3 ai 30 anni. Il Bund è l’omologo tedesco cioè un titolo di Stato a tasso fisso emesso della Germania. Il paragone viene fatto con il Bund tedesco perché l’economia tedesca ed il bilancio pubblico della Germania sono ritenuti dai mercati i più solidi della intera area euro. Pertanto come detto sopra, minor è il rischio di mancato rimborso, più basso è il rendimento di un titolo.

Lo spread di cui si è detto sopra è, dunque, la differenza tra il tasso di rendimento di un Btp e di un Bund su una scadenza di 10 anni. Ogni titolo, sia il Btp, sia il Bund, come qualunque altra obbligazione, ha un rendimento che è dato dalla cedola e cioè dai flussi di interessi che il titolo periodicamente paga. Agli interessi, che sono stabiliti all’inizio della sottoscrizione (acquisto) del titolo, sono da sommare o sottrarre il guadagno o la perdita in conto capitale, cioè la differenza fra quanto il risparmiatore ha pagato il titolo e quanto gli viene rimborsato alla scadenza (ad es. se compro il titolo a 101 oggi e lo rimborsano tra 12 mesi a 100, dovrò sottrarre dal mio guadagno di interessi l’1%) . Lo spread di cui si sente parlare in questo periodo è quello calcolato ai prezzi di Bund e Btp della giornata borsistica. Dire che lo spread è di 350 punti base – o basis point – vuol dire 350 centesimi di punto percentuale, e cioè che il Btp rende il 3,5% in più rispetto al Bund.

Ma adesso vediamo di comprendere perché lo spread, e quindi il differenziale di rendimento tra il Btp e il Bund varia nel tempo. Cominciamo con il dire che il Bund è considerato (per convenzione) un titolo privo di rischio, in quanto l’emittente è solido. Tanto maggiore è lo spread, tanto più alto è il rischio che il mercato percepisce associato al titolo preso ad esame. Uno spread ampio significa che il mercato ritiene che l’emittente (ad es. lo stato italiano) possa avere difficoltà a rimborsare il titolo alla scadenza. In altri termini, per compensare questo rischio di mancato rimborso in capo al sottoscrittore, il mercato richiede rendimenti più alti per rendere conveniente investire su titoli dello stato italiano. Ma, attenzione, è un rischio percepito (una previsione) e non è detto che alla lunga si traduca necessariamente in un default (perdita/fallimento).

Questo rischio e, quindi, questo differenziale di rendimento, come sentiamo spesso in tv o leggiamo sulla stampa, varia nell’ambito di ogni giornata di contrattazione in borsa e viene influenzato dalle notizie sui fondamentali dati economici della economia di uno stato ( ad es. prodotto interno lordo, livelli occupazionali, entrate fiscali etcc.), dati macro economici in forza dei quali le società di rating (società private indipendenti chiamate ad esprimere giudizi sulla solvibilità delle società, in genere quotate in borsa, nonchè degli stati sovrani) emettono quotidianamente giudizi anche sulle prospettive di miglioramento o peggioramento della solvibilità (out look). In questo ambito facciamo solo cenno, e magari ne parleremo in altra occasione, che al fine di neutralizzare il rischio di fallimento sul mercato possono essere acquistati dai sottoscrittori dei titoli i CDS (Crediti Default Swap) che sono una specie di contratti di assicurazione in cui il compratore paga un premio al venditore per assicurarsi contro il rischio di fallimento di una terza entità, che può essere un’azienda o uno Stato.

Quindi appare chiaro che il differenziale misurato nel tempo potrebbe avere significato per il possessore del titolo solo al momento della vendita dello stesso poiché è solo in quella circostanza che verrebbe eventualmente contabilizzata la perdita o mancato rimborso (anche parziale). Questo ragionamento non vale per lo stato. Perché? Perché quando il differenziale varia in aumento o in diminuzione aumenta o diminuisce il rischio di fallimento dello stato e cioè il rischio che lo stato non sia più in grado di pagare/rimborsare i propri debiti. Pertanto, per lo Stato, il problema dipende dalla struttura del debito pubblico e vale un ragionamento diverso rispetto a quello fatto per il possessore del titolo. Per quanto riguarda i Btp già emessi, lo Stato comunque paga gli interessi pattuiti all’atto dell’emissione, da questo punto di vista non cambia nulla. Ma il fatto che lo spread sia nel frattempo cresciuto per i motivi di cui si è detto sopra significa che a mano a mano che i Btp scadono lo Stato dovrà emetterne degli altri con interessi e rendimento più elevati, altrimenti rischia che non vengano acquistati dai risparmiatori o dalle banche. E questo vuol dire che mentre i Btp scadono e lo Stato ne emette di nuovi l’onerosità del debito pubblico sale. Il maggior rischio percepito si traduce, quindi, in un aumento del rendimento richiesto e in un maggior costo del debito per lo Stato. L’aumento del differenziale si traduce, quindi, in un esborso di maggiori interessi con ulteriore peggioramento delle aspettative di rimborso.

Infine, se tutto quello che abbiamo detto sopra è chiaro, pare opportuno, in conclusione, far qualche cenno sugli effetti che lo spread e, quindi, il differenziale di rendimento tra BTP e Bund genera sulle banche e sui fondi obbligazionari. A questo proposito possiamo affermare che se la quotazione dei Btp dovesse scendere ancora salirebbe il rendimento e quindi lo spread andrebbe alle stelle. Questo avrebbe un impatto negativo sulle banche, perché sono investitori istituzionali e investire in titoli di Stato fa parte del loro mestiere, ne possiedono tanti e con il prezzo che scende, scende anche il loro capitale. Anche i fondi obbligazionari perderebbero tantissimo, perché valutano il portafoglio titoli al prezzo di mercato.

Un ultimo effetto dell’andamento dello spread e, quindi del rendimento del BTP, si può avere sulla disponibilità di capitali per le aziende private che ricorrono al mercato per approvvigionarsi di capitali emettendo obbligazioni. Ovviamente le aziende, per realizzare progetti di investimento, hanno necessità di capitali ma questi saranno meno disponibili sul mercato quando il rendimento del BTP schizza in alto. L’investitore preferirà prestare denaro allo stato ricevendo alti rendimenti che prestare il denaro ad imprese private comunemente ritenute meno solide e solvibili.

In conclusione possiamo dire che oggi il termine “ spread” può anche essere inteso come misuratore del nostro futuro. Per tenere sotto controllo lo spread abbiamo la necessità di avviare, in ogni ambito della vita economica, progetti seri di sviluppo guidati da uomini competenti e capaci, animati da buona volontà e alta levatura morale.

Il bene comune và perseguito promuovendo un autentico cambiamento, un reale rinnovamento delle istituzioni economiche e politiche, lottando contro ogni tentativo di falso rinnovamento.Io comunque sono ottimista e ritengo che per gli uomini senza scrupoli ed i mediocri in genere gli spazi si stanno via via riducendo. Le istituzioni politiche ed economiche devono ritornare ad essere al servizio della comunità e non viceversa. Ma noi resteremo qui vigili ed attenti.

di Vincenzo Racalbuto