Niente funerali per Pietro Ribisi, 61 anni, di Palma di Montechiaro, boss mafioso ergastolano morto nei giorni scorsi nel carcere di Carinola, nel Casertano. A prescindere dalla causa del decesso (gli inquirenti parlano di suicidio, mentre i familiari negano questa tesi), nella giornata di ieri sono giunti due divieti, uno dell’arcivescovo Montenegro e l’altro del questore Bisogno, alla celebrazione del funerale. Dalla Curia hanno fatto sapere che non si possono celebrare funerali per chi è stato condannato per mafia ed omicidio (il caso Lo Mascolo ne è un sempio), dalla Questura, invece, sostengono che la celebrazione del funerale potrebbe creare problemi di ordine pubblico. E così niente funerali per Pietro Ribisi. Questa mattina la salma è stata portata al cimitero, è stata benedetta e tumulata.

Pietro Ribisi  di Palma di Montechiaro, boss ergastolano, appartenente alla omonima famiglia di Cosa Nostra, si è suicidato in carcere lo scorso 11 ottobre. L’episodio è avvenuto nella casa circondariale Carinola, in provincia di Caserta. Pietro Ribisi era stato condannato all’ergastolo per l’uccisione del giudice Antonino Saetta e del figlio Stefano. Oggi i funerali a Palma di Montechiaro.

Nicola Ribisi, figlio di Pietro, l’ergastolano morto all’interno del carcere di Carinola (Caserta) condannato per l’omicidio del giudice Antonino Saetta e del figlio Stefano, contesta quanto finore i responsabili del carcere hanno affermato: “Mio padre – dice – non si è ucciso. Non aveva alcuna ragione per farlo. Io l’ho visto martedì scorso, era contento perché avevo nominato un nuovo difensore, un avvocato di Milano, e tentare di farlo uscire dal carcere di Caserta dove stava male e non era adeguatamente curato. Aspetterò i risultati dell’autopsia che è stata già effettuata alla presenza del nostro consulente medico legale, e vedremo realmente cosa è accaduto. Io ho vestito il corpo di mio padre dopo l’autopsia. Non aveva segni evidenti di impiccagione. L’unico indizio, una segnatura nella parte più bassa del collo. Poi le dita annerite di chi voleva togliersi il cappio. Per me la situazione non è chiara. L’autopsia ci sarà di aiuto. Ma parlare adesso di suicidio ci sembra esagerato. Scontava la sua pena con dignità. Era in carcere da vent’anni. Mai un problema. Mai una caduta di tensione. Non ha gridato, non ha preteso. Dire oggi che si è suicidato è almeno azzardato. Voglio andare sino in fondo a questa storia. Ho nominato anche un altro legale campano. Il pubblico ministero ha sequestrato tutto e solo ieri ci ha riconsegnato la salma. Cella sigillata, effetti personali. Tutto. Non ho nemmeno la fede nuziale. Quando i risultati saranno certi ne riparleremo. Adesso, nulla è certo. E sono convinto che mio padre non si è ucciso. Sosterrò questa battaglia, andrò in televisione. Non può chiudersi così questa brutta pagina”.

Per gli inquirenti Pietro Ribisi era uno dei killer più spietati, secondo solo al fratello Gioacchino, ucciso all’interno di una pizzeria a Marina di Palma, nell’agosto del 1989, insieme al giovane genero. Famiglia famigerata i Ribisi hanno seminato il terrore a Palma e in sicilia, talvolta agendo su ordine di Totò Riina, e successivamente di Bernardo Provenzano. Gli affari e i delitti della terribile famiglia Ribisi: omicidi, estorsioni, traffici, attentati, avvertimenti al tritolo. Pietro è uno dei killer del presidente della Corte di Assise di Appello Antonino Saetta. Quei cinque boss che i magistrati di Agrigento non hanno voluto mandare al confino erano finiti nell’ inchiesta sulla morte del presidente della corte del processo Basile, erano sospettati di essere i componenti del gruppo di fuoco entrato in azione la mattina del 25 settembre dell’ 87 sulla statale che da Canicattì porta a Caltanissetta. I giudici agrigentini sapevano, erano stati informati dai carabinieri già tre mesi prima. Nonostante gli indizi, nonostante la pericolosità sociale dei cinque fratelli Ribisi il tribunale per tre volte ha respinto la proposta di inviarli al soggiorno obbligato. Una clamorosa svista, un’ altra incomprensibile decisione della magistratura diventata oggetto d’ indagine del ministero e del procuratore generale della Corte di Cassazione. Il furto della Bmw. Ecco cosa scrivevano i carabinieri nel loro dossier presentato ai giudici il 20 maggio dell’ anno scorso: Gioacchino Ribisi, Nicolò Brancato e Rosario Allegro (questi ultimi due sono dei mafiosi di Palma poi uccisi) sono stati pesantemente coinvolti nelle indagini relative all’ uccisione del giudice Antonino Saetta e del figlio Stefano. I risultati investigativi sono stati riferiti al comando gruppo di Agrigento in data 3 febbraio 1989…. In questo rapporto giudiziario erano ampiamente citati altri due dei fratelli Ribisi proposti per il confino. C’ era un confidente che li accusava, c’ era il furto di una Bmw grigio metallizzata (l’ auto usata dai killer di Saetta) che li inchiodava, c’ erano precise tracce che coinvolgevano i 5 mafiosi di Palma di Montechiaro nell’ agguato contro il magistrato che aveva condannato all’ ergastolo i killer del capitano Basile. I giudici del tribunale di Agrigento non hanno ritenuto sufficienti gli elementi raccolti dagli investigatori. Un rapporto firmato dal capitano della compagnia dei carabinieri di Licata e consegnato ai giudici insieme a 5 inchieste patrimoniali e a un album di fotografie che ritraggono i Ribisi con alcuni dei 29 amici elencati in quel dossier. La prima delle quarantanove pagine spiega brevemente chi sono Rosario, Gioacchino, Calogero, Pietro e Ignazio Ribisi: …appartengono a una numerosa famiglia composta da nove figli di cui sette maschi e due femmine…la loro presenza in Palma di Montechiaro, dove godono di una triste e meritata fama, costituisce per i cittadini onesti un costante potenziale pericolo per la loro incolumità fisica e per i loro beni. Poi si dice chi è il capo del clan: Essi formano un gruppo omogeneo e compatto, guidato, sorretto e galvanizzato dal Rosario, che si può considerare il rappresentante della famiglia, il quale tiene i rapporti con gli altri aggregati mafiosi ed è un punto di riferimento per tutti i fratelli e si avvale dell’ appoggio e della collaborazione delle sottonotate persone prive di scrupoli…. I carabinieri fanno una lista di 29 uomini d’ onore, tutti appartenenti alla cosca dei Ribisi. L’ elenco si apre con Croce Napoli e Rosario Allegro e si chiude con Antonio Scibetta e Paolo Farruggia. Le successive 20 pagine del dossier sono riservate ad una meticolosissima ricostruzione dei movimenti dei 5 terribili fratelli negli ultimi mesi. Incontri notturni alla periferia di Palma, summit di mafia in un paio di appartamenti nel centro storico del paese, cene in una trattoria, strani appuntamenti all’ alba nelle vigne. I carabinieri hanno registrato centinaia e centinaia di momenti di vita di tutta la famiglia Ribisi, poi ai giudici hanno consegnato questa ricostruzione con il giorno, l’ ora e persino i minuti di tutti i loro spostamenti. A pagina 26 del dossier gli investigatori riprendono la storia della faida, l’ ascesa del clan Ribisi nel mondo mafioso di Palma di Montechiaro: I 5 fratelli aderiscono alla consorteria mafiosa già capeggiata da Salvatore Di Vincenzo detto “Totò u Nasu” che poi è stato sostituito da Calogero Sambito detto “Giorgi”… da qualche anno il suo posto sembra sia stato preso da Vincenzo Camalleri, coltivatore diretto, presidente del circolo dei cattolici di Palma all’ epoca in cui venne ucciso Antonino Lauricella…. Si descrive la lotta tra i clan, si ricordano quei 41 morti ammazzati degli ultimi quattro anni. I Ribisi vengono alla ribalta nel corso delle indagini di polizia giudiziaria contro Antonino Ferro + 42…. Una inchiesta decisiva per entrare nei misteri mafiosi di questa provincia, l’ unico processo alla mafia istruito dai giudici di Agrigento negli ultimi 25 anni. I carabinieri dedicano poi una parte del rapporto alle attività economiche dei Ribisi e alla loro penetrazione nella cantina sociale del paese: Nel 1987 e nel 1988 Pietro Ribisi e l’ inseparabile Rosario Allegro si inserivano nel trasporto della vinaccia della cooperativa del Gattopardo. Il prezzo del trasporto della vinaccia, come era facile prevedere, con l’ arrivo del Ribisi e dell’ Allegro subiva un’ impennata, più del doppio rispetto agli anni ‘ 86 e ‘ 85, stravolgendo così tutte le regole della libera concorrenza…. Ma non fu solo una questione di soldi. In data 4 giugno 1988 il presidente della cantina sociale Giuseppe Camalleri, mentre stava per rientrare a casa, era oggetto di un attentato e riusciva miracolosamente a salvarsi rimanendo mutilato al braccio sinistro…. I carabinieri ricordano ai giudici chi fu denunciato in quella occasione: Gioacchino Ribisi e Rosario Allegro. Per molte pagine si continua a descrivere le attività criminali del clan, fino ad uno strano episodio, la morte di un loro amico, Nicolò Brancato, uno degli uomini sospettati di avere ucciso il giudice Antonino Saetta. Cominciano a tremare I Ribisi, che secondo notizie attendibili recentemente acquisite sarebbero anche al servizio del famigerato Pippo Madonia (un boss di Caltanissetta, n.d.r.) dopo la soppressione di Nicolò Brancato cominciano a tremare…. Una cosca di Palma ha dichiarato guerra senza quartiere ai cinque terribili fratelli. Uno dopo l’ altro cadono sotto i colpi della lupara i Ribisi e almeno una dozzina di quei 29 nomi di rispetto elencati nel rapporto degli investigatori. I carabinieri avevano già avvertito i magistrati con un’ informativa, adesso consegnano in tribunale anche il dossier per spedire al confino i Ribisi: …al fine di stroncare la loro losca attività bisogna portarli fuori da quell’ ambiente mafioso e omertoso dove vivono, in cui si sono creati abilmente una fitta rete di complicità e dove possono facilmente portare a termine le loro imprese criminose per le conoscenze, appoggi, connivenze di cui godono…. Nella proposta dei carabinieri si consiglia il divieto di soggiorno in Sicilia, Calabria, Campania e Toscana. In quest’ ultima regione sono stati rilevati insediamenti siciliani ed in particolare di palmesi, per cui i proponenti potrebbero trovare l’ ambiente adatto per organizzarsi e continuare nelle loro illecite attività. I magistrati di Agrigento hanno rigettato la proposta dei carabinieri per tre volte. Il confino è stato concesso ai Ribisi solo quando la famiglia è stata sterminata e gli ultimi due superstiti, Pietro e Ignazio, in punta di piedi sono diventati latitanti, poi arrestati. Già la famiglia Ribisi, un tempo padrona di Palma di Montechiaro, e poi sterminata dagli stiddari. Dei fratelli Ribisi sono rimasti vivi in due: Calogero ed Ignazio, il primo solo sfiorato dalle inchieste giudiziarie, il secondo condannato all’ergastolo.

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