Riceviamo e integralmente pubblichiamo l’intervento di un nostro lettore:

Caro Direttore,


sono le recenti e ormai archiviate festività di Natale che mi danno lo spunto per sottoporre a Lei ed ai lettori di CanicattìWeb un argomento che, pur di valenza generale, riguarda la nostra città molto da vicino.

In questi giorni di festa guardavo un bel Presepe che l’Amministrazione comunale ha voluto collocare in Piazza IV Novembre. Felice ed intelligente questa scelta poiché il presepe appartiene alla nostra tradizione religiosa a differenza dell’albero di Natale che rappresenta il rinnovasi della vita ed appartiene prevalentemente alle tradizioni pagane ed alle tradizioni natalizie nordiche,.

Non sempre, però, ci ricordiamo che il presepe non è soltanto il simbolo più bello della Natività, ma è anche il simbolo più alto della forza prorompente della povertà, della semplicità. Si, proprio la forza della povertà. Perché, caro Direttore, come non soffermarci ad ammirare la semplicità di una grotta quale simbolo di povertà che accoglie il Re dei Re? Se guardi fuori da quella porta, se guardi intorno alla grotta, ti accorgi che tra i pastori, tra i contadini, tra gli umili – insostituibili personaggi storici dei presepi di tutti i tempi – si intravedono, arrivati da lontano, anche i Re. I Re Magi. “Li Tri Re”. Ecco è questa la forza della povertà e della semplicità della Chiesa. Quella forza che, pur talvolta trascurata dagli uomini, resiste da duemila anni senza conoscere crepuscoli. Forse, in qualche zona ha conosciuto soltanto piccole foschie. Ma mai oscurità.

Perché, caro Direttore, Le racconto queste mie sensazioni che possono non interessare nessuno? Gliele racconto perché la povertà del presepe, quale messaggio di amore e di speranza della Chiesa, qui a Canicattì conosce (come in verità anche altrove) un contraltare che è costituito dalla forza dell’opulenza anche di un’inverosimile quantità di Chiese che negli ultimi decenni sono state edificate, o stanno per esserlo, andando in controtendenza con la purtroppo consolidata e sempre crescente riduzione della presenza degli uomini e delle donne in tali luoghi di culto cristiano che sono sempre più spopolati, oramai privi persino del numero minimo di preti necessario per il loro funzionamento.

Basti pensare al cronico spopolamento della Chiesa dello Spirito Santo, del Duomo, di San Francesco, persino di San Domenico e di San Diego, del Carmine, etc….. Un tempo – chi è meno giovane lo ricorda benissimo – queste Chiese erano gremite da tanti fedeli, soprattutto durante tutte le Sante Messe domenicali. Oggi soltanto i funerali importanti riescono a riempirle e, ovviamente, non per motivi religiosi.

A fronte di tale decadente fenomeno, la Chiesa agrigentina risponde con impegni finanziari enormi nel realizzare santuari con capacità persino di diverse centinaia di fedeli (una Chiesa recentemente edificata, mi dicono, ha una capacità di circa mille posti a sedere). Quasi tutti questi santuari sono però relegati in angusti spazi esterni che debbono condividere con le logiche di espansione edilizia più o meno selvaggia.

Che senso ha, mi chiedo e Le chiedo, tanto sviluppo dell’edilizia religiosa per soddisfare bisogni spirituali di una esigua quantità di persone? Non vi sono altre vie, meno appariscenti ma più consistenti, per raggiungere i fedeli, per dar loro un concreto messaggio di speranza e di aiuto?

Non credo che importi tanto sapere la fonte dei finanziamenti: se essi arrivano dal settore pubblico o dalla CEI, dai Comuni o dalle Regioni. La cosa che balza agli occhi è l’enorme ed anacronistica spesa per la realizzazione di strutture eccessivamente grandi rispetto alle più contenute esigenze della collettività.

Una “politica” più attenta, più mirata, maggiormente consapevole della realtà che viviamo, probabilmente avrebbe suggerito interventi di diversa natura che sarebbero serviti ancor di più ad avvicinare la Chiesa al mondo che soffre e che spesso dalla Chiesa non ottiene l’aiuto che spera.

Cordialità