La Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d’appello di condanna a sette anni di reclusione per il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo di secondo grado dovrà essere rifatto a Palermo davanti ad altri giudici.

I supremi giudici hanno così accolto le argomentazioni del procuratore generale d’udienza e della difesa del senatore Dell’Utri. È stato, invece, dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Palermo.


“Affronterò il nuovo processo – ha commentato Dell’Utri – ancor più convinto della mia innocenza che ho testimoniato in tutti questi anni, fiducioso nella giustizia”.

“La decisione della Cassazione dimostra che nei confronti di Dell’Utri sono stati fatti dei processi contrari al diritto, e la Suprema Corte, nonostante le pressioni che si sono manifestate in questo ultimo periodo, ha preso una decisione coraggiosa ma pienamente aderente ai principi del corretto funzionamento della giurisprudenza”, hanno sottolineato gli avvocati Giuseppe Di Peri e Pietro Federico, difensori di Dell’Utri.

“Nel nuovo processo d’appello che si terrà a Palermo – hanno aggiunto i due legali – noi non ci auguriamo la prescrizione, nè la cercheremo, ma chiederemo che sia riconosciuta l’estraneità e l’innocenza del senatore Marcello Dell’Utri”.

Tra gli anni Settanta e il 1992 Marcello Dell’Utri, con la mediazione di Gaetano Cinà, avrebbe avuto rapporti con personaggi di spicco di Cosa nostra come Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Vittorio Mangano, che poi lavorò come “stalliere” nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi. Questi rapporti sarebbero serviti a Dell’Utri per assicurare la “protezione” mafiosa alle operazioni finanziarie da lui gestite per sè e nell’interesse delle società di Berlusconi.
Questi i motivi che hanno portato alla condanna del senatore del Pdl: nove anni in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, ridotti a sette in appello. E oggi spetta alla Cassazione pronunciarsi.

Era il marzo 1994 quando il nome di Dell’Utri, all’epoca amministratore delegato di Publitalia, venne messo in relazione con ambienti di mafia. Ne aveva parlato ai magistrati di Caltanissetta il pentito Salvatore Cancemi, aprendo uno scenario nuovo sui rapporti tra Cosa nostra, la finanza e la politica: da poche settimane Silvio Berlusconi aveva annunciato la sua “discesa in campo” con Forza Italia. La dichiarazione di Cancemi è stato il primo passo di una serie di vicende giudiziarie che hanno coinvolto il senatore, adesso indagato anche per la presunta “trattativa” tra Stato e mafia; mentre nel maggio 2002 fu archiviata, su richiesta della Procura, l’indagine partita nel luglio ’98, e che ha coinvolto anche Silvio Berlusconi, per concorso in strage con finalità terroristiche e che riguardava Capaci e via d’Amelio.

Due anni dopo le prime dichiarazioni di Cancemi, nel ’96, Dell’Utri venne sentito dai pm per oltre undici ore. I pentiti che hanno parlato dei possibili rapporti tra il senatore e Cosa nostra sono, nel corso degli anni, diventati 35 e il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa è arrivato il 19 maggio ’97. Con lui fu rinviato a giudizio anche Gaetano Cinà, che intanto era stato arrestato.

Il processo di primo grado si è aperto il 5 novembre 1997: oltre tre anni dopo l’iscrizione di Dell’Utri nel registro degli indagati. E ci sono voluti altri sette anni per arrivare alla sentenza al termine di un lungo dibattimento (256 udienze) passato attraverso l’esame di 270 tra pentiti, testimoni e consulenti. Nel 2004, dopo 12 giorni di camera di consiglio, il tribunale emise la sentenza: nove anni al senatore, sette a Cinà.

Il processo d’appello è cominciato il 30 giugno 2006 davanti alla corte presieduta da Claudio Dall’Acqua. Dell’Utri è rimasto l’unico imputato: Gaetano Cinà, l’uomo che lo avrebbe messo in contatto con Vittorio Mangano, è morto nel 2006 a 72 anni. Nonostante le pesanti accuse, dilazionate in un processo durato altri quattro anni, Dell’Utri non ha mai perso ironia e serenità. Nel 2008, quando Mangano morì, lo definì “un eroe” e nel 2010, mentre il pg concludeva la sua requisitoria chiedendo la condanna a 11 anni, Dell’Utri era a Porta Carbone, a pochi passi dal palazzo di giustizia, a mangiare la palermitanissima pizza “sfincione”.

Sarà per questo che ha accolto con leggera soddisfazione la sentenza d’appello, da lui definita “pilatesca”. La corte non ha preso in considerazione, infatti, la ricostruzione di Gaspare Spatuzza (per sentirlo il pg aveva interrotto la requisitoria), assolvendo Dell’Utri per le condotte successive al 1992. Oltre a quello per il concorso esterno in associazione, altri due ricorsi attendono Dell’Utri in Cassazione: uno, fissato per il 26 maggio innanzi alla Sesta sezione penale e firmato, ancora, dal pg Gatto, contro l’assoluzione nel processo per calunnia ai danni di due pentiti – si prescrive il prossimo 27 luglio – conclusosi a Palermo il 31 marzo 2011.

L’altro, fissato per il 20 giugno innanzi alla Seconda sezione penale, è firmato dal pg milanese Isabella Pugliese contro l’assoluzione di Dell’Utri, emessa dalla Corte di Appello di Milano il 20 maggio 2011, dall’accusa di tentata estorsione nei confronti dell’imprenditore Vincenzo Garraffa. Per questa vicenda – già approdata altre due volte in Cassazione – la prescrizione matura il primo luglio 2013.