Ci vorranno ben più dei canonici trenta giorni fissati in Cassazione per il deposito delle sentenze, per conoscere le motivazioni in base alle quali, ieri, la Quinta sezione della Suprema Corte, accogliendo la richiesta della Procura generale, ha deciso l’annullamento con rinvio della condanna a sette anni di reclusione per il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri. Lo danno per scontato fonti degli stessi supremi giudici ed è quello che succede, per lo più sempre, quando si tratta di motivazioni complesse inerenti casi delicati per la caratura dell’imputato o per le questioni di diritto implicate.
Nel caso di Dell’Utri ricorrono tutti e due gli elementi: il senatore è vicinissimo all’ex premier Silvio Berlusconi, e il concorso esterno è il reato più picconato e ridiscusso dalla Corte. Comunque anche se il verdetto – che sarà esteso dal consigliere Maria Vessicchelli – fosse depositato da qui a un mese, il processo d’appello bis, a Palermo, sarebbe comunque destinato ad arenarsi nella prescrizione. Salvo miracoli.
Fanno notare, infatti, le fonti della Cassazione che si tratta pur sempre di “un processo complesso che deve ripartire da zero non solo perché in piedi è rimasta solo la sentenza di primo grado, ma perché le motivazioni saranno ampiamente demolitorie dei passaggi della sentenza di condanna e quasi nulla verrà salvato”. Dunque, ci saranno testi e pentiti da risentire, e non su singoli aspetti con lacune da colmare: il dibattimento sarà a tutto campo. Un lavoro di anni che si arenerà nella prescrizione fissata al 30 giugno del 2014 o poco più in là, prendendo per buono quanto dice l’avvocato Giuseppe Di Peri, uno dei legali del senatore, che ritiene che ci siano altri “periodi di tempo congelati” da aggiungere a quella data per spostarla in avanti.
Senza contare poi che il pg che ha chiesto la condanna di Dell’Utri e che conosce tutte le carte, Antonino Gatto, potrebbe, con molte probabilità, non occuparsi più di questa vicenda lunga 140 faldoni giudiziari perché è stato applicato in Procura. “Sono il massimo esperto di Dell’Utri? Tutti possono diventare esperti, basta leggersi le carte: io ormai sono in Procura, non faccio più il pg. Nello scorso processo, dopo la transizione, sono stato applicato. Vedremo cosa succederà adesso” ha detto Gatto.
Intanto, Dell’Utri rimane defilato nel suo day-after. Non si sa nemmeno bene dove sia, anche se i suoi legali hanno sempre sostenuto che sia rimasto a Milano nonostante le voci che lo davano già all’estero per timore della condanna definitiva. Continuano ancora, invece, gli echi politici del semicolpo di spugna della Cassazione. Il Pdl, anche se senza troppa convinzione, con Cicchitto, Gasparri e Compagna, cavalca la richiesta di una commissione di indagine sui pentiti e sui mancati rinnovi del 41bis per centinaia di mafiosi nel 1993 durante la presunta trattativa Stato-mafia. Scajola, più mite, parla di verdetto che invita alla “pacificazione” e alla rilettura degli anni passati.
Dissonanti, ovviamente, i pareri sulla sentenza della Cassazione, di Nicky Vendola di Sel che è “scandalizzato e umiliato” e del leader dell’Idv Di Pietro. Scrive, infatti, Di Pietro nel suo blog che “la condanna etica e politica per Dell’Utri rimane ed è pesante visto che riguarda rapporti consolidati di un rappresentante delle istituzioni con la mafia”. Con sconcerto si levano le voci dei magistrati, non tanto per l’annullamento con rinvio, quanto per le campane a morto sul concorso esterno. “Finché non è smentito – dice Piergiorgio Morosini, segretario di Magistratura democratica – rimane un reato fondamentale nella lotta alla mafia e lo dicono tre sentenze delle Sezioni Unite”. Tra le voci indignate, anche quella del pm palermitano Nino Di Matteo che lancia l’allarme sul rischio di “delegittimazione” di tanti processi e indagini in partenza per quel tipo di reato.