Lo Stato avviò una trattativa con Cosa nostra, una trattativa che “indubbiamente ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des” per interrompere la strategia stragista di Cosa nostra scrivono i giudici della Corte d’assise di Firenze che hanno depositato le motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo di Francesco Tagliavia per le stragi del ’93 a Firenze, Roma e Milano.
E “l’iniziativa – scrivono – fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia”. La corte, non ha invece trovato riscontri sull’ipotesi che la nascente Forza Italia, sia stata “mandante o ispiratrice delle stragi”, ma non esclude che la mafia abbia visto il nuovo partito “come una chance per affrancarsi dalla precedente classe dirigente in declino”, e anche che “un canale di interlocuzione si fosse aperto” con il nascente partito, “o anche solo con alcuni suoi esponenti di rilievo”.
Di certo “le nuove prospettive – scrivono i giudici – avevano indotto a rinunciare al progetto di creare un partito di mafia sotto l’etichetta di Sicilia libera”, la cui nascita è attestata dallo statuto acquisito agli atti del processo, “capace di aggregare anche le potenti cosche dell’ndrangheta calabrese”.
Per il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Giuseppe Pisanu, come ha detto al termine dell’audizione di questa sera del procuratore capo di Firenze Giuseppe Quattrocchi, accompagnato dai magistrati Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini, più che di una “trattativa” si trattò di un tentativo di “estorsione, come ci hanno spiegato oggi i giudici di Firenze: la mafia, nella stagione delle stragi sul continente, ha cercato di costringere lo Stato con la violenza”.
Le oltre 500 pagine della sentenza depositata oggi dalla corte presieduta da Nicola Pisano, sono un atto di accusa anche alla gestione della giustizia, di chi doveva sapere, “soggetti di così spiccato profilo istituzionale”, scrivono riferendosi agli ex ministri Nicola Mancino e Giovanni Conso, entrambi chiamati come testimoni al processo. “Esce una quadro disarmante che proietta ampie zona d’ombra sull’azione dello Stato nella vicenda delle stragi”, scrivono i giudici sottolineando come queste “ombre” il processo di Firenze “non hanno potuto dipanare”.
Mancino anche lo scorso mese di febbraio, chiamato al processo di Palermo per favoreggiamento alla mafia contro l’ex generale dei carabinieri Mario Mori, “ha negato di essere stato a conoscenza di una trattativa” che lui, comunque, avrebbe respinto. Il generale dei carabinieri e l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino vengono richiamati spesso nelle motivazioni e, già durante il processo, il presidente della Corte aveva segnalato le differenze tra le dichiarazioni rese da Mancino e quelle del suo ex collega Claudio Martelli, ministro della Giustizia prima di Conso, che invece aveva detto di aver saputo dell’iniziativa del Ros.
Quello di Firenze è il processo che si è fondato sull’attentibilità del pentito Gaspare Spatuzza, per i giudici confermata dai riscontri alle sue dichiarazioni anche quando parla della ricerca di nuovi referenti politici avviata da Cosa nostra dopo l’uccisione di Salvo Lima. Spatuzza parla anche di Marcello Dell’Utri e i giudici, si dicono “sorpresi” della scelta di Giuseppe Graviano di non rispondere alla corte che lo interrogava “su Marcello Dell’Utri, e su eventuali investimenti effettuati nel gruppo Fininvest e sul movimento denominato Sicilia Libera”.
Una scelta che “può essere anche interpretata come una sorta di segnale obliquo lanciato all’esterno. La ricerca di una sponda politica è sempre stata un pallino di Cosa Nostra: dopo la fine della Prima Repubblica c’era stato uno sbandamento prima verso ‘Sicilia Libera’ – ha detto stasera Nicolosi alla Commissione antimafia -, la formazione alla quale Bagarella voleva dare l’appoggio dei clan, poi verso Forza Italia. Ma dalle nostre indagini non risulta un negoziatore specifico”.
Tagliavia è stato processato dai giudici fiorentini anche per il fallito attentato ai carabinieri allo stadio Olimpico del 23 gennaio 1994, fallito per il mancato funzionamento dell’innesco, come ribadito questa sera dal procuratore Quattrocchi: “Non sappiamo se era già stabilito che l’attentato all’Olimpico dovesse fallire, sappiamo solo che un telecomando non ha funzionato e quindi la strage è fallita per questo”.
“Anche noi cerchiamo dei moventi ma dobbiamo rimanere estranei al fascino delle ipotesi senza prove”, ha aggiunto rispondendo a Valter Veltroni che gli chiedeva se fosse possibile ipotizzare che nella stagione delle stragi in continente “la mafia fosse stata usata come ‘agenzia’ per evitare determinati esiti politici”, in pratica per sbarrare la strada a un governo di sinistra.