“La verità processuale dice che mio padre è stato capo di Cosa Nostra. Certo, a pensare che oggi, a distanza di vent’anni dalle stragi, sui giornali si stia parlando di revisione. Se parliamo di revisione processuale, dobbiamo allora riscrivere qualche verità. E la ricerca della verità è sempre positiva. Ma preferisco parlare di verità processuali, perchè la verità è un altro conto”. Il figlio di Bernardo Provenzano, Angelo, ha parlato in un’intervista andata in onda su Servizio Pubblico, la trasmissione multipiattaforma di Michele Santoro.
Tanti i temi trattati nel corso dell’intervista esclusiva realizzata da Dina Lauricella: la latitanza, lo Stato, Falcone e Borsellino, la malattia del padre. “Noi chiediamo che mio padre venga curato – dice Angelo Provenzano – Prima di tutto è un detenuto, è vero, che sta pagando meritatamente o immeritatamente, ma rimane sempre un cittadino italiano: sarà stato capo di Cosa nostra, ma stiamo parlando di un essere umano”.
“Io mi rendo conto che molta gente potrebbe alzarsi e dire: ‘Per quello che ha fatto merita questo ed altro.’ A tutti questi dico, però, se mio padre è quello che è, e ci sono delle verità processuali che lo affermano, ora è arrestato: c’è un posto vacante. Chi si sente di far parte di uno Stato che non applica i diritti può prendere posto, su quella poltrona”.
“Falcone e Borsellino? – risponde Angelo Provenzano – Due vittime immolate all’altare della patria, sono due vittime della violenza. Però se io torno indietro nel tempo, agli inizi degli anni ’80, quando ero piccolo…”.
Nonostante sia gravemente malato, il boss Bernardo Provenzano “può partecipare coscientemente al processo e difendersi utilmente”. Lo sostengono i consulenti incaricati dalla corte d’assise d’appello di Palermo di chiarire se il padrino di Corleone sia capace di intendere e di volere.
Accertamento sollecitato ai giudici dal difensore del boss, Rosalba Di Gregorio, che ha più volte denunciato le gravissime condizioni fisiche e mentali del suo cliente.
I due medici – Iaccarino e Crisci – hanno escluso, dunque, che sussista l’infermità che per il codice di procedura penale pregiudica la cosciente partecipazione al processo del capomafia, imputato in appello dell’omicidio di Ignazio Panepinto, ucciso durante la guerra di mafia degli anni ’80.
Sulla lucidità del boss i due periti – un neurologo e uno psichiatra – non hanno dubbi, ma che Provenzano sia molto malato si evince anche dalla relazione depositata alla corte: oltre a un inizio di Parkinson e un’encefalite destinata a peggiorare, il capomafia, detenuto al 41 bis a Parma, avrebbe problemi al colon. Tanto che il carcere sollecita da mesi l’effettuazione di una colonscopia che all’interno dell’istituto di pena non può essere fatta e che, per problemi di sicurezza legati al trasferimento all’esterno del paziente, è difficilissimo fare fuori.
All’istanza il legale ha allegato le lettere ricevute dal suo cliente: “sono sconnesse, dimostrano la sua difficoltà a capire e seguire cosa gli si dice”, commenta. Dal carcere, inoltre, si chiede a un neurologo di valutare la possibilità di trovare qualcuno che aiuti il boss nelle attività quotidiane che non sarebbe più in grado di assolvere.
Un quadro grave, dunque, sul quale l’avvocato sentirà i periti che il 30 marzo compariranno davanti alla corte d’assise d’appello per illustrare la loro relazione.