“È vero che per chi vuole fare impresa al Sud ci sono notevoli difficoltà per la presenza di mafia, ‘ndrangheta e camorra, ma si può sempre dire di no e approfittare degli spazi sempre maggiori che lo Stato è riuscito a conquistare”. Lo ha detto il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, a margine del terzo incontro sulla legalità promosso dall’università degli studi di Palermo, da Confindustria Sicilia e dalla Fondazione Falcone alla facoltà di ingegneria, a Palermo.

“Non sono scelte semplici ma spesso sono lasciate alla responsabilità dei singoli e delle associazioni – ha aggiunto Pignatone – in Sicilia va ricordato l’esempio virtuoso offerto da Confindustria”.


Tema dell’incontro di oggi è “L’infiltrazione della mafia nell’economia e nelle istituzioni”.  L’introduzione dei lavori è stata affidata al procuratore capo di Termini Imerese (Palermo), Alfredo Morvillo. Previsti interventi del presidente del Tribunale di Palermo, Leonardo Guarnotta, del presidente del Tribunale di Marsala (Trapani), Gioacchino Natoli.

“Gli imprenditori sono il tramite privilegiato tra i mafiosi e il resto della società. Questo è più accentuato in Sicilia e meno in Calabria, dove il tessuto produttivo è meno sviluppato. Non è con l’arresto di un boss potente o con una condanna eccellente che si risolve il problema mafia – ha aggiunto Pignatone – L’espressione suggestiva di ‘area grigia’ indica quella zona, tra legale e illegale, nella quale si realizzano le collusioni, è il cuore centrale del fenomeno mafioso. Naturalmente la mafia è forte perché quando vuole può ricorrere alla violenza, ma spesso non ne ha bisogno”.

Il procuratore Pignatone ha poi citato le dichiarazioni del pentito Antonino Giuffrè che, riferendosi alla rete di poteri e interessi economici, politici e mafiosi ha detto: “E’ l’unione tra questi interessi che fa la pericolosità”.

Sul concorso esterno in associazione mafiosa, ha aggiunto: “Ci sono state sentenze definitive per concorso esterno in associazione mafiosa, se ne sono avute sia in Sicilia che in Calabria e con pesanti pene detentive. È un problema di prove, il concorso esterno è un reato molto grave; la Cassazione ha precisato in modo molto dettagliato i criteri cui attenersi. I pubblici ministeri che fanno le indagini e i giudici che poi celebrano i processi devono rispettare questi parametri”.

“Di concorso esterno in associazione mafiosa si parlava già nell’Ottocento, lo ha fatto il liberale Leopoldo Franchetti e in seguito don Luigi Sturzo. C’è un calcolo di convenienza reciproco. Dobbiamo allontanarci dagli stereotipi, il rischio del contagio è forte”.