Una testimonianza-choc, rotta dai singhiozzi, rilasciata davanti alle telecamere, in conferenza stampa: quando il coraggio di parlare arriva, non si ferma. Teodoro Pulvirenti, catanese, 37 anni, oggi ricercatore negli Stati Uniti, ha voluto denunciare pubblicamente gli abusi subiti a 14-15 anni, accusando un sacerdote, don Carlo Chiarenza, allora parroco di San Paolo ad Acireale, successivamente decano della Basilica di S. Sebastiano.
E ha fatto ascoltare l’audio di una conversazione fatta qualche tempo fa col religioso, captata a sua insaputa, e altrettanto scioccante: “Mi sentivo sporco”, gli dice Pulvirenti. “Io – risponde il prete – inseguivo il tuo desiderio di essere voluto bene. E lo facevo non ponendomi limiti. Mi sembrava addirittura di farti del bene, come se tu avessi bisogno di liberarti. È stato un modo di dirti che ti volevo bene”.
Denunciato, a febbraio, Chiarenza è stato allontanato dal vescovo di Acireale, mons. Raspanti e trasferito in un centro di raccolta spirituale lontano dalla Sicilia. Ora questa registrazione è stata acquisita dalla polizia postale di Catania, che da un mese, su disposizione del pm Marisa Scavo, sta raccogliendo materiale e testimonianze da soggetti sentiti come persone informate sui fatti su questa e altre vicende. “Il mio caso è caduto in prescrizione – afferma Pulvirenti – ma ce n’è una decina per cui la giustizia può fare il suo corso. E anche per questo che ho deciso di parlare”.
L’azione della magistratura si deve anche all’associazione antipedofilia La Caramella Buona, che ha seguito Pulvireti e ha organizzato l’incontro con la stampa; e al mensile di inchiesta siciliano SMagazine, che per primo ha sollevato il caso. Nel maggio scorso il presidente dell’associazione, Roberto Mirabile – che non esita a parlare di “protezioni” e “scaricabarile tra vescovi”, definendo “più virtuale che concreto” l’impegno della Chiesa contro la pedofilia – ha scritto in Vaticano a mons. Charles Scicluna, promotore di giustizia della Congregazione per la dottrina della fede, segnalando i presunti abusi di don Chiarenza. Scicluna ha risposto invitando a “trasmettere tutte le informazioni utili al vescovo” della diocesi di Acireale, mons. Pio Vittorio Vigo.
Ma il vero pugno nello stomaco è il racconto di Teodoro: “Avevo quasi 13 anni quando mi sono avvicinato alla parrocchia: don Carlo si comportava come una padre, per me era come un secondo padre ed era anche un amico di papà. C’era un gruppo di giovani più vicino a lui: andavamo insieme in montagna, al mare. A volte ci chiamavano gli eletti”.
“A circa 14 anni, mentre stavo guardando la tv in sagrestia, per la prima volta mi fece sedere sulle sue ginocchia, mi abbracciò, cominciò a baciarmi e infilare le mani sotto la maglietta. Avvertiva che ero teso: non avevo mai avuto rapporti, nè una ragazza. Quella volta smise. Un giorno, dopo un litigio con mio fratello, sentivo la necessità di sfogarmi: da adolescente ero molto insicuro. Andai da don Carlo e scoppiai a piangere. Lui mise la mia testa sulla sua spalla, iniziò a dirmi ‘ti voglio bene’, a baciarmi, mise le mani sotto la maglietta e poi più in basso. Capivo che c’era qualcosa di sbagliato, ma non capivo cosa stesse succedendo. Ancora oggi mi condanno per non aver avuto il coraggio di reagire”.
Dalle sue parole – che hanno commosso il sindaco di Acireale, Nino Garozzo, che gli ha manifestato la sua solidarietà – traspare una situazione di sudditanza psicologica vissuta per anni. “Successe altre volte: mi ero come rassegnato. Quando cercavo di tirarmi indietro, mi tagliava fuori da tutto. E mi diceva: vuoi raccontare tutto? Vediamo chi ti crede. Mi sentivo una nullità”. In mano Teodoro stringe un rosario: “È quello di mia madre, mi dà forza. Io credo in Dio, ma non posso più credere nella Chiesa”.