Riceviamo e integralmente pubblichiamo:

Egregio direttore,
se il discorso non avesse la serietà che esso deve avere, mi verrebbe voglia di dire che, a Canicattì, viviamo l’era degli “ismi”:  il “randagismo” ed il “rumenismo” sono i volti più attuali e più marcati di patologie che, se non vengono intelligentemente valutate, possono farci sconfinare rispettivamente nell’odio per gli animali e in una forma di razzismo che non appartiene alla nostra cultura ed alla nostra sensibilità.
Tralascio il “randagismo” per limitarmi a fare delle riflessioni sul “rumenismo” prendendo proprio spunto dall’episodio di cui ci parla Canicattìweb sulle botte che sono volate ieri tra rumeni ubriachi.
Se v’è un difetto che non  ho (e purtroppo di difetti ne ho tanti) è quello di non essere xenofobo. Non solo è mia buona abitudine rispettare gli stranieri, ma ho con alcuni di essi un solido rapporto amicale.
I rumeni li incontro per le strade con grande frequenza, soprattutto, da buon involontario mattiniero quale sono, li vedo spesso intorno alle cinque, quando  è ancora buio, anche quando piove,  quando fa freddo. Vanno a lavorare o semplicemente a farsi trovare nei posti convenzionali sperando che qualcuno  offra loro una giornata di lavoro. Sui loro volti spesso leggi la loro età: a volte forse hanno quindici o sedici anni, non di più. Portano un piccolo sacchetto, di quelli che danno al supermercato, ove hanno riposto gli alimenti e l’acqua per l’intera dura giornata lavorativa. A quell’ora i nostri figli dormono, protetti dall’amore dei genitori, e riscaldati dal tepore del calorifero,  mancano ancora almeno due o tre ore per svegliarli e, dopo una ricca colazione, farli andare a scuola.
Sui volti di quegli indifesi ragazzi rumeni, che indifesi lo sono anche se di anni ne hanno il doppio, leggi lo smarrimento di chi vive a migliaia di chilometri dalle proprie case, dai propri affetti. Una terra che alterna i propri sentimenti verso di loro tra un profondo e vero senso di ospitalità e di solidarietà ed un non condivisibile sentimento di razzismo pur giustificato dalle intemperanze, anzi spesso dalle violenze e dalle delinquenze di alcuni di loro.  Ma sono proprio loro, quei bravi ragazzi rumeni, quella brava gente venuta dall’est a cercare lavoro anche a fronte di paghe da fame e contro prestazioni lavorative da negri dell’ottocento, sono proprio loro le prime vittime delle intemperanze, delle violenze e delle delinquenza dei propri connazionali non foss’altro perché essi stessi vengono ingenerosamente accomunati in un negativo giudizio che, invece, dovrebbe essere circoscritto soltanto a chi si rende autore di reati.
Le botte di ieri, così come le botte che spesso si danno tra di loro, e così come gli atti di violenza che spesso li rendono protagonisti dei nostri turbamenti, delle nostre preoccupazioni, vanno ricondotte nell’alveo delle violazioni delle nostre leggi e andrebbero puniti con la dovuta severità, senza sconti.
Noi, tra i nostri connazionali annoveriamo una quantità di mafiosi, di violenti e di delinquenti che probabilmente non solo in valore assoluto ma anche in percentuale sovrastano di gran lunga il numero dei rumeni violenti e delinquenti.
Spesse volte leggiamo di retate della polizia e dei carabinieri per sgominare bande dedite allo spaccio di sostanze stupefacenti. Quasi sempre si tratta di nostri connazionali. Spesso sentiamo di retate più importanti per sgominare vere e proprie organizzazioni malavitose. Anche in questi casi quasi sempre si tratta di nostri connazionali. Ciò significa, forse, che tutti noi siamo delinquenti, malavitosi e mafiosi?
Noi dobbiamo semplicemente augurarci che le autorità preposte applichino il necessario rigore per punire chi viola le leggi poiché i cittadini hanno necessità di avvertire che lo Stato è più forte della delinquenza, indipendentemente dall’idioma che essa parla e dal colore della sua pelle.
Chi viola le leggi non deve essere restituito alla libertà con troppo fretta.
Cordialità


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