L’indifferenza – usava dire Jacques Maritain – è la morte dell’anima: la morte che nasce e che fiorisce, una rosa di niente dal color della cenere”. Sarà, a breve, Natale: pure, l’indifferenza di molti ne farà un giorno senza luce, un giorno di solitudine per i “dannati della terra: per i bimbi – soldato, innocenti portatori di morte, per i miserabili che, disperati, frugano tra i rifiuti a cercare quel che resta di briciole, per le giovani donne violate nel cuore e nelle carni, per i tanti «Gesù Bambino» che, nelle gelide acque di tenebra, dormono un sonno senza fine. Vi saranno artifizi di luce nei luoghi della grigia, fredda, diffusa indifferenza e sarà, per gli «ultimi», un Natale di desolata amarezza: … a meno che … non si riesca, nella notte che viene, a ritrovare, con la purezza del cuore, il senso sorridente di una preghiera antica, eppur nuova sempre: «Laudato sì, mì Signore …»! Il presepe «povero» di Greccio ancora verrà, con francescana letizia, a raccontare l’incanto della notte santa e la sua «magia»: l’incontro del Re degli angeli che, nella notte di stelle, si fa bambino; carezzato dalle carezze della dolcissima Vergine Madre, tenuto per la piccola mano – come si fa con le creature le più fragili e tenere – da Giuseppe, inondato di luce dal Padre dei cieli. Luca e Matteo ci dicono che, ancor prima che i saggi d’Oriente vennero alla grotta gli «ultimi», i pastori con i loro semplici doni preziosi; la trepidazione dell’attesa, la povertà, la ricchezza della fede e la speranza. E furono petali di rosa i cori degli angeli che, dall’alto dei cieli più alti, discesi sulla terra, videro il Figlio venire alla luce in una povera mangiatoia, come un «ultimo fra gli ultimi»: al freddo, al gelo. A «riscoprire» quella notte d’incanto, i frati minori di Ravanusa con gli amici del convento si son provati, con la letizia serena e serenatrice del poverello d’Assisi, ad allestire un presepe vivente, del quale la comunità si rende, attraverso la ri-creazione dei mestieri antichi della Sicilia contadina d’un tempo, partecipe ed interprete. Si vuole andare oltre la semplice raffigurazione attinente ad aspetti dell’antropologia culturale, evidentemente. Teatralità e scenografia intendono, piuttosto, essere funzionali ad una «riscoperta» del Natale che vada oltre la semplice raffigurazione. In quella notte santa noi vorremmo sognare l’Amore, vorremmo che il respiro del «piccolo» Gesù carezzasse gli umili, vorremo che le nostre mani – le mani «indifferenti» – non soffocassero l’agnello e il senso non agisse sopra l’anima e l’anima non se ne morisse nel senso, vorremo non più sentire l’urlo di raccapriccio dell’uomo che sente vicino il suo inferno. Vorremo, con l’aiuto del Padre celeste, sotto un cielo trapunto di stelle, sfiorare con le labbra il piccolo cuore del piccolo Gesù e, anche attraverso la semplicità del presepe, cantare l’amore di Dio, poiché quell’amore soltanto è poesia;

Poesia che dissolve le tenebre,


poesia che genera Luce, Poesia che fa d’ogni giorno il giorno santo del santo Natale.

Prof. Vito Coniglio