Andare alla ricerca di un termine siciliano, significa scoperchiare un vaso di Pandora da cui fuoriescono influenze linguistiche che conducono lo studio non soltanto alle popolazioni autoctone ma anche a tutte quelle che la Storia volle guidare nell’isola. Certamente la lingua greca la fa da padrona, tant’è che molti vocaboli in vernacolo conservano la radice di questa lingua ( il medesimo fenomeno è comunque a livello nazionale per tutti le lingue dei dominatori che soggiornarono nella penisola), così è per “ carusu”(ragazzo) derivante da kouros greco, latino carus (caro), sanscrito caruh(amabile); tuppìari o tuppuliari ( bussare) da typto; cirasa (ciliegia ) da ceraso; cuddura (pane a forma circolare) da kollura il cui significato si lega a “focaccia” “ pane biscottato”o ancor più il Kollix che era un pane d’orzo; tabbutu(bara) da tapto; liccu ( ghiotto) da liknos. Non che gli arabi abbiano lasciato di meno con la loro lunga conquista dal IX secolo alla metà del X secolo. L’influenza araba fu certamente positiva soprattutto in relazione con il mondo agricolo cui apportarono migliorie che essi avevano sperimentato sul patrio suolo e che esportarono nell’isola introducendo novità specialmente per quanto concerné l’irrigazione. Tutto ciò non fu dimenticato e così avvenne per i vocaboli che ancora permangono nel vernacolo. La gebbia da jabh era la vasca in cui si conservava l’acqua per irrigare; con giurana da jrhanat si indicava la ranocchia; la zagara o fiore d’arancio si unisce a zhar( fiore); zammù era l’anice preferibilmente mescolata con l’acqua da zammut; il capu-rrais è il capo come la sua parola madre rais; nella maidda in legno veniva impastata la farina detto termine ha chiara attinenza con màida (tavola); in Calascibetta, Calatabiano, Calatafimi, Caltagirone, Caltanissetta la derivanza riconduce a qal’a ( fortificazione) così come per Marsala da marsa ( porto); lo stesso dicasi per Mongibello, Gibellina, Gibilrossa che pescano in gebel (monte); Gebbia è un cognome diffuso e si lega al significato arabo di cisterna; Caruana si lega al convoglio dei cammelli; Sciarrabba si accompagna a sarab o bevitore e per metatesi si può ipotizzare il cognome Sciabarra. Anche i Normanni pensarono bene di lasciare una loro eredità che il vernacolo ha gelosamente custodito come in accattari- comprare da achèter; armuarru- armadio da armoire; buatta –barattolo da boîte (scatola, barattolo); custureri- sarto da coutourier; mustazzu-baffo da moustache; racina-uva da raisin; travagghiari-lavorare da travailler. Certamente non si può escludere l’influenza delle lingue iberiche, aragonese e catalano e poi castigliano, che tanto hanno influenzato il dialetto intervenendo non soltanto sul lessico ma anche sulla grammatica e sulla sintassi. Nel lessico sono vivi i vocaboli come anciova- acciuga da anxova; stricari- strofinare da estregar; paraccu-ombrello da paracas; vàia (esclamazione) da ivaya; banna compone ddabanna e ccabanna cioè di là, di qua poiché banda significa parte; criata –serva da criada; cucchiara- cucchiaio da cuchara; palumma-colomba da palumma. Anche l’inglese e l’americano ci hanno molto prestato tra cui piscipagnu-legno di pino da pich-pine; ferribbottu- traghetto da ferry boat; sosizza salsiccia da sausage. La complessità del vernacolo siciliano appare evidente poiché la sua struttura pesca nel caleidoscopio delle lingue dei dominatori che l’isola ospitò e, bisogna riconoscerlo, ciascuno di essi fu predatore ma seppe anche lasciare traccia di sé apportando novità in molti campi non ultimo quello linguistico che, grazie ai poeti, fu culla di quel germe che in seguito sarebbe divenuto volgare ed antenato della lingua italiana

Maddalena Rispoli