Riceviamo e pubblichiamo in versione integrale la lettera di Clelia Paternò. Vi chiediamo come mai abbiamo fatto da quando esiste questa testata, di leggerla fino in fondo e invitare altri a farlo. Cogliamo l’occasione per dire a chi è responsabile di questa situazione , che lo staneremo e scriveremo tutto quello che c’è da sapere su questa vicenda che riteniamo vergognosa. Possiamo passare sopra alla sporcizia in cui versa la nostra città, alle strade colabrodo e a tutto il resto. Su questa vicenda la posizione della nostra testata è : tolleranza zero.
Attendiamo risposte concrete e soprattutto immediate da parte delle istituzioni.
Ai nostri lettori chiediamo di postare ( nella sezione commenti) “ io sono con Clelia” Siamo sicuri che saremo tantissimi
Cesare Sciabarrà, Gero Marsala, Davide Difazio
Se c’è qualcuno batta un colpo….Aiutiamo Clelia a gridare contro l’indifferenza
Il mio nome è Clelia, Clelia Paternò sono una adolescente di 15 anni affetta dalla sindrome di Warkany. Detto così non sembra nulla di cui ci si debba preoccupare, ma a vivere una vita come la mia ci vuole molto ben altro. Se state iniziando a leggere queste mie prime parole, vi prego, leggete tutto fino in fondo , non mi capiterà mai più di potere parlare con voi , anzi non è mai capitato . La sindrome di Warkany mi rendi impossibile parlare, gridare, cantare, sorridere, mi rende impossibile tutte quelle cose che tutti voi che mi state leggendo fate in ogni attimo perché per voi è normale. So io cosa darei per un solo attimo, un solo frammento di quella normalità. La gioia di fare una passeggiata, una corsa, una nuotata per me rimane solo immaginazione. E già perché questa maledetta sindrome di Warkamy , mi impedisce anche quello, non un passo, un saltello, un solo millimetro del mio corpo può muoversi tranne che tra le braccia amorevoli dei miei genitori Provate a immaginare di avere il corpo avvolto dalla testa ai piedi da un grosso rotolo di nastro adesivo per imballaggio…. Provate a immaginarlo… provate a farlo per capire quanto sia dura la mia vita, la mia esistenza, la mia quotidianità. La mia vita, imprigionata in un corpo privo di vita, che mi ricorda di esserci solo quando dei dolori lancinanti lo percorrono.
Oggi sono felice, perché sto parlando con voi , mi sto raccontando grazie agli amici di canicattiweb. Spero sarete in tanti a leggermi. Ma spero soprattutto che tra i nostri lettori ci siano le persone che forse inconsapevolmente rendono la mia vita ancora più difficile. Non credo lo facciano apposta. Ma chiedo loro di fare apposta il contrario. Di non fermarsi alle pastoie burocratiche e liquidare i miei genitori già provati e sfiniti , dicendo che questi sono i tempi di attesa. Vi starete chiedendo di cosa sto parlando e a cosa mi riferisco.
Vado per ordine: nel tentativo di dare una sembianza di normalità alla mia vita anormale, vado a scuola. È la mia gioia, sono felice in mezzo ai miei compagni. Mi vogliono tutti molto bene. Anche io ne voglio loro. Tutto bello fin qui , se non fosse che io non essendo praticamente autonoma in nulla riferendomi anche alle esigenze più elementari, avrei bisogno di una persona che si occupasse di me durante le ore scolastiche , che mi accudisse nei miei bisogni. E’ un mio diritto, lo è !!! Ogni anno la stessa storia. Chi mi dovrebbe fare assistere fa a scarica barile, rimandando responsabilità ad enti, funzionari, assessori, responsabili non so di cosa. Io ho la sindrome di Warkany che mi da un po’ da fare, non ho tempo di occuparmi di queste cose ( capite l’ironia, vi prego). E allora adesso dico basta a questa situazione , e lo dico attraverso le pagine di questo giornale….. lo dico a chi ha da sentire questo appello, alla prossima possibilità di parlare faccio nomi e cognomi. Nel frattempo lo chiedo al Sindaco della mia città, lo chiedo ai suoi Assessori, lo chiedo ai Partiti, al Provveditore, agli insegnanti lo chiedo alla gente comune, chiedo di indignarsi e aiutarmi con la loro indignazione ad abbattere questi muri che esseri umani hanno eretto e dietro i quali si trincerano insieme alla loro indifferenza, lo chiedo a Dio.
Clelia
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