Una recente sentenza della Cassazione sezione lavoro n°5574/16, conferma quella
giurisprudenza che negli ultimi anni si è occupata degli abusi derivanti l’utilizzo dei permessi
per i familiari portatori di handicap.
La legge n°104/92 nasce ed è ispirata dai principi costituzionali che tutelano i diritti,
l’integrazione sociale e l’assistenza alle persone affette da disabilità.
La citata legge prevede una serie di permessi per i lavoratori portatori di handicap e per i loro
familiari.
Molti e non tutti i dipendenti pubblici e privati (familiari di portatori di handicap) che hanno
diritto a tre giorni di permesso al mese, da utilizzare per accudire e assistere un parente
affetto da gravi patologie, in realtà ne abusano e li usano per altri fini personali,
danneggiando aziende, colleghi e Inps.
La legge 104/92 è veramente qualcosa di bello e importante e ci consente di vederci allineati ai
più avanzati sistemi di welfere europei (cosa che avviene veramente di rado), ma purtroppo
siamo in Italia, dove i controlli non esistono, dove ognuno cura il proprio orticello e dove le
aziende hanno le mani legate.
Infatti le aziende che hanno nel proprio organico dipendenti che hanno diritto ai tre giorni di
permesso, si trovano a non poter verificare se effettivamente il dipendente li stia usando per
assistere il parente in gravi condizioni, in quanto lo Statuto dei Lavoratori limita fortemente i
controlli sui dipendenti da parte di guardie giurate o addetti alla vigilanza o tramite impianti
audiovisivi (artt. 2,3,4 L.300/70) al fine di tutelarne la libertà e la dignità personale.
L’orientamento della giurisprudenza, però, ultimamente è andato nella direzione di vietare il
controllo del dipendente limitatamente durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Considerata la rilevanza penale per la violazione dei permessi di cui alla Legge 104/92, la
giurisprudenza ha ritenuto che il dipendente può essere oggetto di controllo anche mediante
investigatori privati.
Le prove raccolte, affinché siano ritenute valide, devono essere acquisite al di fuori del posto
di lavoro e non devono invadere la privacy del dipendente.
Quando queste regole vengono rispettate può anche scattare il licenziamento e la denuncia per
truffa.
La sentenza a cui si accennava sopra addirittura è andata oltre, ritenendo legittimo il
licenziamento di un dipendente che effettivamente si recava presso il domicilio del parente da
assistere, ma soltanto per un totale di 4 ore a fronte delle 8 ore concesse dalla azienda e
retribuite dall’Inps.
Già la Corte d’Appello, alla quale il dipendente si era rivolto aveva sentenziato che il
comportamento del dipendente doveva essere considerato “grave violazione del vincolo
fiduciario insito nel rapporto di lavoro indicativo di un sostanziale e reiterato disinteresse del
lavoratore rispetto alle esigenze aziendali e dei principi generali di correttezza e buona fede”,
in quanto lo stesso avrebbe dovuto rendersi disponibile nei confronti dell’azienda.
Naturalmente la soluzione per le aziende non può e non deve essere quella di rivolgersi agli
investigatori privati, considerati gli alti costi del servizio, ma urge, da parte di chi legifera, un
intervento massiccio che preveda controlli stringenti e sanzioni pesanti per i furbetti della 104.
Giuseppe Petrotto
Consulente del lavoro