
Scritto da SILVIO D’AURIA
Sabato scorso nella sua Ravanusa in cui è nato, in provincia di Agrigento, si è celebrata la cerimonia di inaugurazione del busto in bronzo, opera di Rocco Carlisi, in sua memoria. Tributo allo storico Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, l’Onorevole socialista Salvatore Lauricella o meglio Totò, il Presidente. Anche i ragazzini adesso lo chiamano così osservando incuriositi l’opera bronzea che fedelmente lo riproduce, come Leonardo Sciascia nella vicina Racalmuto, mentre sembra passeggiare tra sua gente, all’angolo di Corso della Repubblica che introduce i passanti a Piazza XXV Aprile nel centro storico della città. Riconoscimento ad un uomo che fu politico siciliano autorevole e soprattutto importante artefice della storia del Socialismo in Sicilia.

Del politico, soprattutto dopo la sua morte, si è già scritto e detto abbastanza. Ma a raccontare la sua vita anche familiare, privata e umana sono i suoi due figli: Giuseppe, avvocato e professore di diritto pubblico all’Università di Palermo e Lucia, psicoterapeuta.
Si commuovono entrambi ma senza fatica riprendono fiato e raccontano, ciascuno a suo modo, la quotidianità, la vita familiare, il loro rapporto. Come tutti quei i figli che amano i genitori legati da riconoscenza e affetto senza tempo.
– “Salvatore Lauricella, mio padre, è stato e rimane un mio punto di riferimento”. Così inizia il ricordo che il figlio del noto politico, Giuseppe, docente universitario. “Da piccolo non era sempre presente ma, grazie a mia madre, era sempre con noi – prosegue – quando tornava a casa da Roma o dai suoi giri nel territorio, aveva il tempo di stare con me, giocare insieme”. Ci regala piccoli particolari di vita quotidiana, che descrivono un padre come tanti. “Sul letto dei miei genitori facevamo la lotta. Era un padre di poche parole ma che ti faceva sentire il suo amore, le sue attenzioni. Mi insegnò a dare i primi calci al pallone e fu poi orgoglioso che fossi diventato un bravo attaccante. Mi insegnò ad andare in bicicletta. Poi anche a guidare. Andavamo a caccia insieme. Mi insegnò ad usare il fucile, a sparare, ad avere rispetto per la caccia, mai intesa come carneficina ma come sport. Non era importante prendere molta selvaggina ma passare una giornata insieme con gli amici cacciatori”. Dal ricordo emerge anche l’austerità di un padre severo. “Bastava un suo sguardo per rimettermi in riga”. I ricordi proseguono con le piccole e grandi soddisfazioni. “Fu orgoglioso il giorno della mia laurea in giurisprudenza, come lui e come prima suo padre (mio nonno) Giuseppe Lauricella. Fu felice quando mi abilitai all’esercizio della professione. Addirittura pianse di gioia quando diventai professore universitario”. Poi la malattia, che in pratica invertì i ruoli. “Quando si ammalò passai molte notti in ospedale a controllarlo, alternandomi con mia madre. L’ho accudito come un figlio. Nella sua ultima campagna elettorale gli organizzai tutto. Lui si fidava di me, mi stimava, mi voleva bene. E andò bene”. Infine l’esperienza da nonno, un regalo vissuto con grande intensità emotiva dal politico ormai anziano. “La sua massima felicità fu quando nacque mia figlia Nicoletta, chiamata come mia madre. Era fiero che avesse il suo stesso gruppo sanguigno. Era orgoglioso che il suo nome continuasse. Abitavamo accanto. Spesso, la sera, bussava alla nostra porta e chiedeva a mia moglie Aglaia di addormentare la bambina. E così la metteva su una spalla tra le braccia e passeggiava su e giù per il salone fino a farla addormentare. Una scena mai vista: mio padre – ricorda commosso – non aveva addormentato mai nessuno, non ne aveva mai avuto il tempo. Ora poteva fare il nonno. E prima di andarsene per sempre, ancora in ospedale, volle la foto di mia figlia. Se la guardava e se la baciava. Se ne andò quando mia figlia aveva appena un anno e mezzo”. Il ritratto fatto dal figlio fa emergere la sua determinazione ma anche la sua semplicità, la sua signorilità frutto dell’educazione e dei principi che gli furono trasmessi da sua madre e da suo padre, ma anche dalle sue esperienze dure di vita. La guerra, che visse da soldato al fronte, il suo ritorno a casa a piedi da Pisa a Ravanusa. I successi e le delusioni nella sua carriera, a volte anche da parte di chi reputava amico. Ma anche questo lo rendeva più forte. Il suo rapporto straordinario con sua madre, l’esempio di suo padre che seguì nella battaglia politica a fianco dei contadini e nell’attività professionale fino a prendere le redini dello studio legale. “Ebbe in mia madre, Lina – chiosa ancora – un sostegno e una compagna insostituibile, determinante nelle sue scelte, moglie ma anche amica, compagna, punto di riferimento. Mi insegnò che bisogna perseguire i propri obiettivi di vita con impegno e dedizione e mantenerli con rettitudine”. Come politico è stato un esempio, una fonte di esperienza, di vita, di comportamento. È stato un uomo potente – chiarisce – ma aveva l’umiltà dei grandi uomini. La sua vita politica è stata segnata dalla passione, dall’attenzione verso i più bisognosi. Ha sempre guardato più avanti di altri. Per questo è diventato più grande di altri, come riconosciuto da tutti. Aveva una visione alta della politica, sapeva anticipare gli eventi, anzi, spesso li determinava. Alla sua morte l’aggettivo prevalente per descriverlo è stato: “era un politico leale”. Questo la dice tutta sul suo modo di concepire i rapporti, la politica, la serietà delle scelte”.
– “Mio padre ha avuto una vita di grande impegno e responsabilità – dice la figlia Lucia, la maggiore, psicoterapeuta dipendente dell’Azienda Sanitaria del capoluogo siciliano – . “Spesso ci si rivedeva nei fine settimana, l’attesa del suo ritorno era una festa per mia madre, per me e mio fratello Giuseppe. Seppur gli impegni politici lo conducevano lontano, ci seguiva attraverso le indicazioni e le notizie con mia madre. Nella nostra crescita e nei percorsi di studio. Ad ogni suo rientro da Roma a Palermo a casa si respirava un’aria di festa. Un padre attento e sempre pronto ad ascoltarci. Aperto al dialogo, accettava anche le mie contestazioni tipiche dell’adolescenza mentre mi induceva a riflettere, quindi a confrontarci.
A Ravanusa ho abitato fino a sei anni. Da bambina la sera prima di andare a dormire giocavamo sul letto, mi divertivano le capriole. Un padre di che si concedeva assoluta normalità nei rapporti con i figli. Come ogni genitore ci dedicò amore, ascolto, sicurezza, coraggio. Sapeva farmi sognare ad occhi aperti. La relazione affettiva è stata punto importante anche quando non era presente fisicamente. Ogni suo giudizio per me era fondamentale, gli sarò sempre grata per i preziosi insegnamenti. Da giovane giocò a calcio in una squadra locale di Ravanusa poi da adulto seguì lo sport dalla tv. Apprezzava l’impegno degli atleti, di ogni sportivo ma preferiva il calcio. Amava anche il cinema e ne valorizzava sempre qualcosa: la regia, la colonna sonora, la sceneggiatura o la fotografia. Tra i suoi interessi la lettura. Amava i romanzi, leggere testi di storia, saggi che portava spesso con lui nei viaggi”.
La sua testimonianza scorre, e Lucia ricorda orgogliosamente l’uomo politico: “I pensieri, i sentimenti, il confronto, la responsabilità di mio padre, la sua storia, la sua esperienza caratterizzano insieme quello che fu il suo modo di essere, di pensare, la sua onestà intellettuale. Nella vita privata era così come appariva in pubblico: sempre e comunque uguale a se stesso! Il suo impegno, la sua attività politica facevano inevitabilmente parte della nostra vita anche i vari trasferimenti dalla Sicilia a Roma e viceversa. A Palermo ci siamo trasferiti quando ricevette da Pietro Nenni il compito di formare in Sicilia il PSI che ancora non esisteva come partito.
Fu quindi segretario regionale e nel ’61 diede vita, con l’Onorevole D’Angelo, al primo Governo di centro-sinistra dell’isola. A Roma ci siamo trasferiti – conclude Lucia – a seguito della sua terza nomina di Ministro, erano i primi anni ’70”.