person holding black iphone 4Nell’attuale contesto sociale la tutela della privacy digitale è sempre più dominante. La messaggistica istantanea e le chat private sono parte integrante della sfera personale di ciascuno. In tale panorama si inserisce la sentenza della terza sezione penale della Corte di Cassazione pubblicata oggi 5 giugno 2025 che, destinata a fare scuola, afferma con chiarezza: spiare i messaggi di WhatsApp di un’altra persona, anche se ex coniuge, è un reato grave. La Corte di cassazione, ha rigettato il ricorso di un uomo condannato dalla corte d’appello di Messina per aver prelevato chat WhatsApp e registri di chiamate dai telefoni dell’ex moglie, senza il suo consenso. L’uomo aveva estratto i dati da due cellulari, uno dei quali ancora in uso alla donna, l’altro utilizzato per lavoro e scomparso da tempo e li aveva consegnati al proprio avvocato per produrli come prova in giudizio, al fine di ottenere l’addebito della separazione. Le denunce risalgono a marzo 2022 e marzo 2023, quando la donna segnalò condotte moleste e ossessive da parte del marito, accusandolo anche di aver inviato messaggi privati a terzi, compresi i suoi genitori,per insinuare l’esistenza di una relazione con un collega.Secondo la Cassazione, i messaggi e le chiamate contenuti nei dispositivi sono tutelati come parte della sfera privata e riservata della persona. Anche le applicazioni come WhatsApp, precisano i giudici, devono essere considerate a tutti gli effetti sistemi informatici, in quanto software che elaborano e trasmettono dati attraverso reti digitali. Per la Cassazione non c’è dubbio che l’uomo abbia «arbitrariamente invaso la sfera di riservatezza della moglie attraverso l’intrusione in un sistema applicativo» che dovrebbe essere riservato al solo proprietario del mezzo, se non con il suo consenso a farvi accedere altre persone. Il consenso temporaneo all’uso del telefono non elimina la responsabilità penale se viene superato il limite fissato dal proprietario del dispositivo. In altri termini, anche se una persona concede l’accesso al proprio telefono per un breve periodo o per uno scopo specifico, chi mantiene l’accesso o consulta dati non autorizzati commette comunque un reato. L’art. 615-ter del Codice Penale italiano disciplina il cosiddetto reato di accesso abusivo a sistema informatico o telematico. Secondo la norma, “Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza è punito con la reclusione da uno a cinque anni”, pena aumentata nei casi di condotte aggravate. La recentissima sentenza della Cassazione applica questa tipizzazione anche ai casi di accesso al telefono cellulare altrui senza il dovuto consenso. È irrilevante che l’accesso sia avvenuto con finalità probatorie, cioè per estrapolare dati da usare in giudizio, come evidenziato nel caso in oggetto: ciò che rileva è l’assenza di autorizzazione del titolare. In concreto, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, l’accesso senza consenso al cellulare altrui e la consultazione delle chat WhatsApp costituiscono “accesso abusivo a sistema informatico”, con tutte le conseguenze penali del caso.