La Storia ci ha ormai abituato ad orrori perpetrati nel nome della dea Ragione di Stato, addotta come scusante per una precisa volontà di sterminio voluta da esseri dalle menti demoniache i quali, per una serie di eventi ineluttabili, si sono trovati padroni di una nazione e con il destino della popolazione tutta nelle loro mani; circondati da altri schiavi dell’ empietà sadicamente gaudenti delle altrui sofferenze. La rappresentazione del male, porta impresso da sempre un nome accomunato alla silente e vile cecità di quelli che non videro o non vollero vedere quanto stava accadendo per opera di colui che tutto poteva in quel momento storico: Adolf Hitler. Non è stato l’unico a nascondersi dietro una sorta di sventurata filosofia personale e criminale, si trovò in degna compagnia di altri esseri che non possiamo certo definire umani i quali trasudarono sangue e odio per i loro simili. Bisogna riflettere sul fatto che per divenire un efferato ad alto livello, si deve avere una forte conoscenza dell’altrui animo poiché è necessario che il Male si circondi di una folta schiera di altri perversi onde mettere in atto le nefandezze più sanguinarie contro gli inermi che nulla possono di fronte alla più brutale ferocia munita di potenza spietata. Molto si è detto di Hitler e del suo genio satanico sostenuto da una pseudo politica asservita al flagello di Belzebù, di meno si è parlato di un seminatore di stragi poiché protetto quasi fino ai nostri giorni dal silenzio che, obtorto collo, la Storia ha dovuto serbare. Mi riferisco a Giuseppe Stalin, servitore del Male ed abitante,oggi, dell’Inferno esistendo,come è giusto che sia, una giustizia divina. Correva l’anno 1933, quando elementi definiti nocivi socialmente ed al di fuori di un contesto statale preconfezionato, tra Mosca e Leningrado vennero catturati senza saperne il motivo (ufficialmente erano sprovvisti di carta di identità) deportati ed abbandonati sull’isola di Nazino, piccolo straccio di terra alla confluenza dell’Ob e del Nazina, a 900 chilometri da Tomsk. Il calvario di questa povera gente ci appare di malvagità disumana e sadica ma forse nemmeno il più perverso sadismo riesce a giustificare come si possano snaturare esseri del loro stato di uomini per condurli alla pura ferinità. Circa 4000 dei deportati, due terzi del totale, morirono dopo pochi giorni per malattia, fame, cannibalismo.

Avrebbero dovuto essere lavoratori in condizioni proibitive ma i loro carcerieri- aguzzini divennero subito predatori spietati e gli stessi deportati che contavano tra di essi molti delinquenti tratti dalle carceri per liberare spazi all’interno delle strutture penali, furono razziatori, assassini vestiti della più infima degradazione morale. Alcuni “lavoratori” tentarono la fuga su zattere rudimentali e raggiunsero i vicini villaggi dilagando e divenendo a loro volta spietati facendo registrare casi di cannibalismo e necrofagia che preoccuparono le autorità locali e centrali. Il branco era colpevole, in quegli anni di non rispondere alla politica di formazione socialista che avrebbe dovuto formare le menti seguendo schemi prestabiliti. La Siberia occidentale divenne una sorta di pattumiera in cui rinchiudere milioni di deportati in quelli che saranno poi tristemente conosciuti anche in Occidente come “gulag” luoghi in cui inviare gli elementi antisovietici non educabili alle teorie socialiste e dunque indegni di essere relegati persino nei campi riabilitativi di lavoro. L’elemento che avrebbe segnato questi” inquinatori della società socialista” come poveri, invalidi, mendicanti o nemici del sistema fu stabilito nel possesso del passaporto che avrebbe da un lato impedito l’afflusso contadino nelle zone urbane, dall’altro sarebbe stato un valido mezzo per individuare l’esattezza della posizione sociale all’interno di un pensiero politico da tradurre in realtà statale. Fu con questo mezzo che il capo della polizia politica Jagoda avviò l’inizio del regno dell’Inferno in terra. E fu il terrore. Era sufficiente aver dimenticato il passaporto a casa per essere subito arrestati senza motivo né spiegazione o altro ed essere avviati alla deportazione in Siberia; così avvenne per le vittime di Nazino. Anche in questo caso, come fu per gli ebrei, la pianificazione numerica dell’epurazione divenne il mezzo ossessivo del procedere in vista dell’utopico Stato in cui l’essere umano non avrebbe avuto alcuna rilevanza se non quella dell’utilità di “servire” privo di volontà personale in quanto schiavo di un sistema militare e repressivo fino alle estreme conseguenze. Sembra che esista per questi mostri, un nesso tra il numero delle vittime ed il trionfo della giustezza malata del loro pensiero. Come se valesse una sorta di contabilità ossessiva che deve essere sempre in ascesa al fine di ottenere il premio finale: il Trionfo della turpitudine. Non mi soffermerò ad elencare il quantitativo numerico delle vittime poiché mi sembrerebbe di offendere ancor di più tutti quei miseri immolati da infami nel nome della perversione, costruttori di un monumento alla strage di incredibili proporzioni. Homo homini lupus, disse Tommaso Hobbes analizzando la natura egoistica e feroce dell’uomo, in verità il povero lupo viene offeso dalla malversazione umana; se è pur vero che attacca, preda, si riunisce in branchi per cacciare lo fa soltanto per la sua sopravvivenza, mai come l’essere umano che (dotato di raziocinio) si riunisce in branco per arrecare offesa e diviene predatore non per necessità bensì per dare sfogo ai più bassi istinti che gli arrecano godimento poiché schiavo del regno del Male. Perché tutte queste misere vittime uscissero finalmente dal buio, l’attesa è stata lunga, troppo. La Storia è una grande Signora e se non si appalesa subito poiché l’uomo lo impedisce essa ha molta pazienza ed attende; tanto sa che i mortali possono vivere solo un attimo del Tempo che a lei appartiene in toto e, dunque, la verità può essere solo occultata mai cancellata.

Maddalena Rispoli