carcere-duroPur non essendo stato iniziato a Cosa Nostra con il rito della “pungiuta”, il narese Giuseppe Sardino si è definito “uomo di mafia” all’udienza preliminare dell’inchiesta “Agorà” sui presunti interessi criminali attorno al centro commerciale di Castrofilippo. Il collaborante, sentito nell’aula bunker di Milano, ha raccontato del periodo in cui si è messo a disposizione per ricostruire la “famiglia” della Fulgentissima offrendo ospitalità al capo provinciale di Cosa Nostra, il latitante Giuseppe Falsone. Nella casa di campagna di Sardino si sono tenute numerose riunioni del boss con altri mafiosi, ma anche con imprenditori della zona, alle quali il proprietario dell’appezzamento rimaneva comunque estraneo. Una volta in quella contrada arrivò anche il boss emergente di Palermo, Gianni Nicchi, arrestato il 5 dicembre scorso dopo un periodo di clandestinità. Il boss campobellese, prima che con Sardino, per i suoi spostamenti si muoveva con un favarese che ai fianchi portava due pistole calibro 9 per 21. Per le tangenti al costruendo Centro Commerciale di Castrofilippo, Falsone si è recato più volte nelle vicine campagne di Castrofilippo. Una rivelazione di Sardino, coperta da omissis e sul quale indaga la Dda, riguarda poi un omicidio commesso con dei fucili che il pentito di Naro vide custoditi nella sua casa rurale. L’ultimo collaborante sentito sabato pomeriggio al processo “Agorà” è stato Calogero Rizzuto di Sambuca di Sicilia che incontrò Falsone per chiedergli di impiegare i suoi mezzi meccanici nella realizzazione del centro commerciale. La distanza della zona belicina da Castrofilippo però fece recedere il capo mandamento sambucese dal suo intento. Sardino e Rizzuto, che non hanno riconosciuto i sette imputati, potrebbero confrontarsi in un incontro voluto dal giudice per capire se si conoscano. Il processo con il rito abbreviato riprenderà il prossimo 25 gennaio per un’udienza interlocutoria in cui il gup scioglierà inoltre la riserva su un’eccezione sollevata dalla difesa di Angelo Di Bella. Secondo il collegio che tutela la posizione del canicattinese, sono inutilizzabili le dichiarazioni di Maurizio Di Gati, in merito alla casa di campagna di un prete in cui si tenevano riunioni di mafia. Il pentito di Racalmuto infatti, nei sei mesi in cui era obbligato a dire tutto quello che sapeva di Cosa Nostra, non aveva fatto cenno a questa circostanza.