Altro colpo alle cosche agrigentine. Dieci persone, ritenute i fiancheggiatori dell’ex capo di Cosa Nostra, Giuseppe Falsone, sono state arrestate nella notte nell’ambito di un’operazione antimafia denominata “Maginot” condotta dagli agenti della Squadra Mobile di Agrigento. Questi gli arrestati: Carmelo Cacciatore, 46 anni, Francesco Caramazza, 38 anni, Liborio Parello, 41 anni, di Agrigento; Carmelo Marotta, 41 anni, e Giovanni Vinti, 42 anni, di Ribera; Giuseppe Maurello, 42 anni, di Lucca Sicula, Antonino Perricone, 41 anni, di Villafranca Sicula; Salvatore Morreale, 42 anni, Calogero e Antonino Pirrera, rispettivamente di 59 e 73 anni, di Favara. Solo per Antonino Pirrera sono stati disposti gli arresti domiciliari, in considerazione della sua età (73 anni). Le misure cautelari sono state emesse dal Gip del Tribunale di Agrigento, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Il blitz trae origine dalle attivita’ investigative, tese a risalire alla fiorente rete dei fiancheggiatori, che hanno assicurato protezione ed appoggi logistici al boss campobellese, catturato il 25 giugno del 2010 a Marsiglia. In particolare, le indagini dei poliziotti della Mobile di Agrigento, coordinati dal vice questore aggiunto Alfonso Iadevaia, hanno consentito di arrestare i “picciotti” e i capi famiglia al servizio di Falsone, e contestualmente ha permesso di ricostruire interamente la rete dei fiancheggiatori ed i singoli ruoli operativi che costoro hanno assunto nel periodo di latitanza del boss, per proteggere il ricercato, per consentirgli di eludere le indagini delle forze di polizia e per garantirgli, consapevolmente, la prosecuzione della propria attività delinquenziale, mettendo le mani sulla realizzazione di opere pubbliche, centri commerciali e altri grossi appalti. Nell’inchiesta della Dda di Palermo figurano tra gli indagati anche altre 5 persone, non raggiunte da misure cautelari. Un avviso di garanzia che ipotizza il reato di favoreggiamento aggravato dall’avere favorito l’associazione mafiosa è stato notificato dalla Squadra mobile della Questura al presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Agrigento, Nino Gaziano. Indagando nell’ambito dell’inchiesta antimafia della notte scorsa contro il boss Giuseppe Falsone. La polizia avrebbe scoperto che il legale avrebbe invitato alcuni indagati sottoposti a intercettazioni a non parlare troppo. Secondo la ricostruzione dell’accusa, il penalista sarebbe entrato fortuitamente in possesso di un fascicolo dal quale emergeva che erano in corso attività investigative di ascolto. Con i suoi fedelissimi Falsone comunicava tramite Skype e Internet. E proprio il web ha fornito ai poliziotti il primo aggancio che ha poi svelato la rete dei fiancheggiatori. Carmelo Marotta è stato il primo nome a saltare fuori dalla documentazione trovata al boss. E’ lui che, insieme con Salvatore Morreale, ha fornito le due identità false utilizzate dalla primula rossa agrigentina in Francia. I documenti erano stati falsificati con i nomi di due ignari dipendenti delle ditte dei due uomini d’onore. Ma il clan aveva assicurato a Falsone anche i covi dove potere trascorrere la latitanza: uno è stato individuato nel 2008 a Naro. Dentro c’erano armi e munizioni. Altri covi caldi sono stati rintracciati a Palazzo Adriano e a Ribera. Gli uomini di Falsone erano anche abili e temuti estorsori. Morreale, i Pirrera e Parello non hanno esitato a lasciare una bottiglia di benzina nel cantiere per il rifacimento della rete fognaria di Favara. Un’intimidazione, in perfetto stile mafioso, per indurre il titolare di una ditta ad assumere gli operai segnalati dalle cosche. E’ ancora Salvatore Morreale, stavolta in qualità di mandante, ad ordire insieme con Antonino Perricone e Giuseppe Maurello un’altra estorsione. Nel mirino sono finite tre imprese che stavano realizzando, nel 2007, i lavori di interconnessione dei laghi Gammauta, Prizzi, Castello. Stavolta gli uomini del boss sono riusciti ad avere il sub-appalto dei lavori. Gli investigatori hanno ricostruito la vicenda partendo da un pizzino trovato a Giardinello nel covo dei boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Ma nell’ordinanza a carico dei dieci uomini di Falsone si fa riferimento anche all’intestazione fittizia di beni da parte di Giovanni Vinti, imprenditore edile che aveva messo a disposizione del clan le sue imprese, ma si era anche intestato un escavatore da 50 quintali di proprietà di Falsone. . Tra i compiti principali degli odierni arrestati vi era proprio la gestione della latitanza di Falsone sino al momento del suo arresto, avvenuto a Marsiglia il 25 giugno del 2010 sempre ad opera degli investigatori dello Sco e delle Squadre Mobili di Agrigento e Palermo. E’ stato accertato, ad esempio che Falsone, dalla Francia, impartiva le proprie direttive tramite l’invio di e-mail che il suo principale referente in Sicilia (l’imprenditore riberese Carmelo Marotta, di 41 anni) riceveva in un bunker blindato e schermato, al fine di evitare eventuali intrusioni elettroniche da parte delle Forze di Polizia. Oltre ai provvedimenti cautelari personali, il Gip ha anche disposto il sequestro preventivo di 15 aziende, per un valore di circa 7 milioni di euro, tutte operanti nel settore edile e del movimento terra, direttamente riconducibili agli indagati ed attraverso le quali l’organizzazione mafiosa, ponendo in essere gravi intimidazioni, è riuscita a subentrare nella realizzazioni di importanti opere pubbliche e private della provincia di Agrigento quali: il rifacimento della rete fognaria di Favara, la realizzazione del centro commerciale Villaseta di Agrigento, la realizzazione della condotta idrica Favara di Burgio, i lavori di interconnessione dei laghi Gammauta – Prizzi – Castello. Uno specifico riferimento proprio ai lavori di interconnessione dei laghi Gammauta – Prizzi – Castello era stato accertato nei pizzini sequestrati nel corso del blitz del 05.11.2007, che portò alla cattura dei latitanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo, Andrea Adamo e Gaspare Pulizzi. In tale pizzino, attribuito a Calogero Pillitteri, personaggio di spicco del panorama mafioso palermitano, era contenuto il preciso riferimento ai lavori in questione e la richiesta di una ditta di Agrigento di subentro nell’espletamento dei lavori di scavo.