Gli Italiani sono un popolo di ottimisti, si sa, e nonostante la crisi economica, l’atteggiamento nazionale non sembra aver assunto ancora un tono vittimistico o pessimistico. Quel che è certo, però, è che sempre più italiani, in gran parte insoddisfatti della propria retribuzione, sarebbero disposti a lasciare l’Italia per migliorare la propria condizione lavorativa.

E’ questo uno degli aspetti che emerge dalla quarta edizione del Work Monitor Randstad, l’analisi relativa all’andamento del mercato del lavoro svolta dalla multinazionale Olandese in 29 nazioni nel quarto trimestre 2011 e condotta, soprattutto per l’Italia, in un momento storico-politico e finanziario caratterizzato da un’incertezza per il prossimo futuro.


“La quarta edizione del Work Monitor, indagine condotta nel periodo antecedente la manovra economica, – commenta Marco Ceresa, Amministratore Delegato di Randstad Italia – sottolinea ancora un atteggiamento fiducioso verso il 2012.

Più coerente e vicina al clima attuale post-manovra è la consapevolezza della problematicità della situazione finanziaria da parte dei lavoratori italiani che rimangono, comunque, caratterizzati da una certa ambizione, intesa anche come volontà di migliorarsi misurandosi con nuove responsabilità e mansioni e disponibili a considerare l’opzione del trasferimento all’estero (il 53% del campione). Emerge anche il tema dell’innalzamento dell’età pensionabile, ormai una necessità e non più una scelta. Tema che – aggiunge Ceresa – credo sarà uno dei fattori cruciali del futuro scenario occupazionale, soprattutto in termini di “Age Diversity”.

Resta, infatti, da parte dei lavoratori italiani la consapevolezza diffusa della problematicità della situazione finanziaria, confermata anche dalla più spiccata disponibilità a considerare l’opzione del trasferimento all’estero: il 53% del campione, infatti, sarebbe disposto a trasferirsi se guadagnasse di più mentre il 32% sarebbe disposto ad emigrare a parità di salario per un lavoro più in linea con le proprie aspettative.

Dati che convalidano quanto già emerso in una fase precedente del Work Monitor, ma con una differenza non secondaria: mentre un semestre fa l’opinione è stata resa in termini teorici e generalisti (“penso che in futuro un maggior numero di persone andrà a lavorare all’estero”) ora la disponibilità è giocata tutta in soggettiva (“sarei disposto a trasferirmi all’estero ….” ).

Ed appaiono indicativi di uno stato di crisi – reale e non solo percepita – molti dei tratti che caratterizzano il fenomeno: sia per la motivazione, molto più associata all’obiettivo salariale (necessità) che non all’obiettivo professionale (appagamento), che per il profilo (più maschile e non differenziato per settore di appartenenza) e più giovane (nell’opzione dell’avanzamento professionale). Con una differenza sostanziale con i paesi stranieri dove l’esigenza di migrare è decisamente inferiore, essendo meno esplicita la motivazione economica.

Rispetto ai colleghi stranieri però, solo una piccola percentuale di italiani, il 23% del campione, è pienamente soddisfatta della propria retribuzione, a differenza di paesi come la Germania dove le percentuali sono quasi doppie attestandosi sul 42% o degli Stati Uniti (31%) o del Regno Unito (27%).

Da questo basso grado di soddisfazione emerge per i lavoratori italiani, a differenza dei colleghi stranieri, una diffusa attesa di un riconoscimento economico tangibile (più accentuato fra i dipendenti del settore privato) che giustifica un clima di apparente fiducia. Sia a brevissimo termine, considerato che il 56% del campione nutre un’aspettativa di un bonus a fine anno, che il 54% nutre un’aspettativa di un aumento di stipendio a fine anno e che il 65% nutre un’ aspettativa di un maggior reddito disponibile nel 2012, che per i prossimi 12 mesi se si considera che il 61% nutre un’aspettativa di un miglioramento dei benetif per il 2012.

Altro aspetto approfondito dal Work Monitor Randstad è un argomento fortemente dibattuto anche dall’opinione pubblica italiana nelle ultime settimane, l’innalzamento dell’età pensionabile. In questo contesto il 38% del campione è incline a lavorare due anni oltre l’età pensionabile mentre circa la metà del campione (il 49%) è convinto di dover lavorare oltre l’età pensionabile.

L’argomento è oggi ancora molto incerto sul piano della riforma e, per i lavoratori, appare anch’esso un territorio di preoccupazione legata alla crisi economica. Ed è indicativo però che, pur in una tendenza comune, le donne esprimano una distanza emotiva maggiore degli uomini, semmai fosse ancora necessaria una testimonianza della complessità del rapporto tra le donne e il mondo del lavoro, mentre non vi sono notevoli differenze per età dei lavoratori, in una visione a-generazionale su un argomento dal quale – invece – ci si aspetterebbe una differenza nella prospettiva.