Quando mesi fa un politico – l’allora ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta – lanciò la proposta di rivedere, in nome dell’esigenza della semplificazione, la disciplina della certificazione antimafia, si scatenò un putiferio. E gli stessi alleati di governo, Roberto Maroni in testa, bocciarono l’idea senza appello.
Ora, però, a parlare della necessità di venire incontro alle imprese, strette tra crisi economica, lungaggini burocratiche e ricatti della criminalità organizzata e superare “lungaggini e pastoie burocratiche”, è un tecnico: il capo della Dna Piero Grasso che raccoglie subito la convergenza del guardasigilli.
OIl superprocuratore sceglie il palco di un convegno sul codice antimafia, organizzato dall’Università di Palermo, per riproporre l’argomento. “Andiamo oltre il tabù del certificato antimafia – dice provocatorio Grasso ai magistrati presenti, ma soprattutto al ministro della Giustizia Paola Severino, a Palermo per partecipare all’incontro -. Anche questa volta lo scopo è semplificare la vita alle aziende e ridurre i tempi di accesso al mercato. L’iter per procurarsi la documentazione è lungo e allora perché non superare l’idea?”.
Ma il magistrato sa che un controllo nell’ingresso delle imprese nel settore produttivo è necessario, per questo ha pronta una idea per colmare il vuoto lasciato da un’eventuale soppressione della normativa. Si tratta di una sorta di “white list”, un elenco di aziende virtuose che rispettino determinati requisiti e che perciò possano stare sul mercato legale.
La proposta sembra piacere al ministro che dice: “Ha ragione il procuratore Grasso: il certificato antimafia non deve essere un tabù. Si può discutere della sua abolizione e della creazione di un’etica di impresa che selezioni quelle ditte che rispettino certi valori”. E “per una curiosa coincidenza”, fa notare lei stessa, ha parlato poche ore prima, sempre a Palermo, di “un’etica di impresa che selezioni le ditte che rispettino certi valori”.
“E’ giusto premiare le aziende virtuose”, aveva detto Severino mostrando di apprezzare la svolta di Confindustria che, da anni, ha dichiarato guerra al racket arrivando a cacciare chi cede al ricatto degli estorsori.
Grasso amplia i requisiti richiesti alle ditte candidabili a far parte della white list e chiede di più del contrasto alle estorsioni. Ad esempio, la tracciabilità delle spese, da farsi attraverso bonifici bancari, la trasparenza dell’assetto societario, il rispetto della legge sullo smaltimento dei rifiuti: insomma un comportamento virtuoso a 360 gradi.
L’idea dell’elenco delle aziende da promuovere piace anche al procuratore di Palermo Francesco Messineo, più cauto, però, sulla radicale abolizione del certificato antimafia. Su un punto, comunque, magistrati e politici concordano: “Non devono esserci preclusioni, argomenti tabù: è giusto e necessario dialogare, insieme, di tutte le tematiche relative alla criminalità organizzata”.
Un argomento sul quale il ministro batte spesso durante il suo intervento di apertura del convegno organizzato per discutere degli aspetti del codice antimafia che vanno migliorati e corretti. “L’iter di approvazione si è concluso – dice il ministro -. Ora occorre attendere il consolidamento della disciplina e monitorarne l’applicazione per formulare, poi, le disposizioni correttive”.
Un impegno a intervenire sulla legislazione che il ministro ha assunto anche sul fronte della lotta alla corruzione, raccogliendo un assist lanciato da Grasso e rispondendo alle polemiche sollevate dal leader dell’Idv Antonio Di Pietro che accusa il governo di affrontare la questione con eccessiva lentezza. “Viviamo – spiega Severino – un momento di ingorgo istituzionale: in fase di conversione ci sono due decreti – quello sulle semplificazioni e quello sulle liberalizzazioni -: non appena si concluderà il loro iter è mio principale impegno intervenire sulla normativa anticorruzione”.
Per il ministro inoltre “la lotta alla mafia è una priorità assoluta di questo governo. Non bisogna abbassare la guardia, solo con un impegno costante e un intervento coordinato di tutti gli attori sarà possibile proseguire sulla strada intrapresa. Perché il fenomeno della criminalità organizzata assume forme sempre meno visibili e sempre più diverse. I flussi dell’economia dimostrano come vi siano sempre delle impermeabilità più oscure e più celate”.
“Molti provvedimenti del governo interessano la magistratura, è importante il dialogo con i magistrati e stiamo affrontando i temi legati al sistema carcerario. L’altro istituto sul quale stiamo lavorando è quello della depenalizzazione. Ci sono una serie di riforme di carattere procedurale che interessano la magistratura, come il Tribunale dell’impresa”, ha detto la Severino.
“Bisogna diversificare – ha aggiunto il Guardasigilli – la lotta alla criminalità organizzata. Il Codice antimafia ci permette, in Italia, di essere all’avanguardia: il nostro è un modello apprezzato in altri Paesi, mi piacerebbe se venisse esportato e mi piacerebbe coltivare questo progetto, sebbene ci sia poco tempo a disposizione”.
“Mi preme, inoltre, il tema della formazione del magistrato – ha poi sottolineato – Dietro a ogni successo contro la criminalità organizzata, c’è sempre l’organizzazione di un ufficio. I nostri magistrati hanno un alto livello di formazione, ma l’organizzazione è importante”.
“L’incrocio fra tutela delle parti sane dell’economia e la magistratura coinvolge anche altri contesti. Questo incrocio è segnato dalla liberazione dell’economia dal fenomeno mafioso. Bisogna agire in questo modo anche nei confronti delle imprese. Un’impresa che costruisce su valori morali va promossa e premiata”. “Il ‘rating’ di Confindustria – ha poi aggiunto – va promosso. Parliamo da tempo di mafie e non di mafia. Lo Stato nella lotta alla mafia è andato molto avanti grazie anche al sacrificio dei magistrati, alcuni dei quali hanno pagato con la vita il proprio impegno”.
No alla soppressione di molti uffici giudiziari siciliani senza una opportuna concertazione nell’interesse del territorio per il mantenimento di opportuni “presidi di legalita’”. E’ questo il tema di una lettera che il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, ha scritto al ministro della Giustizia, Paola Severino chiedendo l’avvio di un tavolo di confronto sulla materia.
“In relazione alla legge 148/2011 – scrive Lombardo – relativa alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie in tutto il territorio nazionale, da notizie del mondo forense e giudiziario si apprende che sarebbe in studio molto avanzato, se non gia’ in fase di esecuzione, il progetto di revisione, che determinerebbe in Sicilia la soppressione di molti Uffici del Giudice di Pace, di numerose Sezioni Distaccate di Tribunali oltre che di sedi di Tribunali stessi”.
“Dalle stesse fonti – prosegue la missiva – si apprende anche che tale revisione sarebbe dettata da necessita’ d’ordine economico-finanziario che in linea di massima dovrebbe giustificarla per tutto il territorio nazionale”.
A preoccupare Lombardo sono anche i numeri delle “revisioni” annunciate. Il provvedimento stravolgerebbe l’assetto organizzativo giudiziario coinvolgendo, in Sicilia, ben 11 (su 20) Tribunali, ben 28 Sezioni Distaccate di Tribunali, ben 101 (su 110) Uffici di Giudici di pace”.
Lombardo, nel rimarcare che “l’art 23 dello Statuto Speciale della Regione Siciliana vanta una specifica prerogativa in ordine ai massimi presidi giudiziari sul territorio” fa presente come “occorre valutare con la dovuta prudenza ogni ipotesi di riduzione delle strutture giudiziarie che nel loro complesso hanno contribuito a salvaguardare e diffondere quella cultura della legalita’ che e’ la base fondamentale per liberare un territorio dal cancro mafioso”.
“La Regione Siciliana – prosegue la nota – fa proprie le preoccupazioni dei suoi cittadini in merito al futuro dell’assetto giudiziario sul suo territorio ed esprime forti perplessita’ e ferma riserva sulle ragioni e sul metodo ispiratori di una revisione basata su soluzione di soppressione di sedi”.
“La Regione Siciliana chiede, dunque, un preventivo confronto su questa delicata tematica in quanto ritiene Suo diritto che lo Stato condivida con essa qualunque iniziativa di revisione delle strutture giudiziarie sul Suo territorio e avere garanzie di tutela dei diritti dei siciliani. A tal fine si propone che i lavori di revisione siano affidati ad un tavolo di lavoro composto da rappresentanti ministeriali e regionali che predisponga nel concreto una proposta condivisa”.
La Regione Siciliana inoltre offre “disponibilita’ a trovare soluzioni anche attraverso il proprio impegno con il supporto di personale (cosi’ come previsto anche da una legge regionale, la n. 6 del 31 maggio 2005) presso le strutture giudiziarie ove lo esigesse una riforma condivisa”.