Nei saloni dei palazzi municipali di Messina e di Termini Imerese (Palermo) sono state aperte ieri mattina le camere ardenti per Francesco Currò e Francesco Paolo Messineo, i due militari siciliani morti in un incidente in Afghanistan.

Nel pomeriggio le due funzioni. A Messina la messa è stata presieduta dall’arcivescovo Calogero La Piana davanti a parenti amici e 1.500 concittadini che hanno voluto condividere il dolore della città. Erano presenti una decina di 10 militari del 66esimo reggimento fanteria aeromobile Trieste di Forlì che hanno accompagnato il corpo del giovane dall’Afganistan nella città dello stretto.


“Francesco come tanti altri ragazzi della Sicilia era partito perchè non aveva opportunità qui e ha dovuto trovare un lavoro lontano da qui. Sollecito l’impegno delle istituzioni affinchè facciano in modo di far trovare un’occupazione – ha l’arcivescovo nell’omelia – anche qui ai nostri giovani. La morte dei tre militari è una ferita al cuore degli italiani e ci invita a riflettere sulla durata della missione e sui margini per accrescere la sicurezza dei nostri soldati”.

A Termini Imerese c’era l’arcivescovo di Palermo, monsignor Paolo Romeo. “Non conoscevo personalmente Francesco. Ma, dalla testimonianza di quanti me ne hanno parlato, so che era un giovane pieno di vita, di doni, di capacità. Un giovane sano che continuava a credere nel suo futuro. E che aveva fatto di tutto per costruirlo con tanta buona volontà, intraprendendo la via militare, scommettendo sulle missioni all’estero come occasione di crescita e di servizio, non come fuga dalla realtà ma come assunzione di un dovere nella maturità”.

Le esequie si sono svolte nel duomo di Termini Imerese, gremito di familiari, amici e concittadini del giovane militare.  “Il tesoro della sua vita Francesco lo stava investendo un servizio alla pace in Afghanistan – ha detto ancora Romeo -. Bisognerebbe ricordarsi spesso di tutti i nostri uomini e le nostre donne che, pur in mezzo al silenzio dei media, ma con zelo costante, garantiscono una presenza di riferimento e di ordine in terre profondamente travagliate, che non possiamo ritenere estranee alla comunità internazionale. Bisognerebbe ricordarsi più spesso del loro contributo per aprire un avvenire migliori per fratelli e sorelle che non si conoscono, ma che sono ugualmente figli di Dio come noi”.

“Dobbiamo essere orgogliosi di quanti ci offrono quotidianamente queste testimonianze, e, con senso di responsabilità, dobbiamo ricevere la loro lezione e la loro eredità, dobbiamo sentirci spronati a fare anche noi qualcosa – ha concluso l’arcivescovo di Palermo -. Francesco ha portato un grande tesoro: quello di esser figlio di questa Patria, figlio di questa terra di Sicilia, con le fede e i valori che hanno contribuito a fare di lui un grande uomo. Questa eredità non è soltanto il conservare memoria di un operatore di pace. Piuttosto è un impegno che ci sprona tutti ad un più serio servizio della pace, della pacifica convivenza, del rispetto della dignità umana: un servizio che apra cammini concreti che possano squarciare orizzonti di speranza di un mondo più giusto, più fraterno, più solidale”.