La crisi economica internazionale e la drastica riduzione dei consumi di carburante in Italia e in Europa starebbero alla base della scelta dell’Eni di interrompere per un anno parte delle attività di Gela e di collocare 500 dei suoi 1.200 dipendenti in cassa integrazione a zero ore, con il rischio però di mandare in cig anche circa 300 (Rpt. 300) lavoratori dell’indotto, che complessivamente occupa più di 1.100 persone.
Il progetto aziendale di contenimento produttivo ed occupazionale è stato comunicato alle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil e Ugl in due tavoli tecnici contemporanei: uno con le organizzazioni dei chimici, nello stabilimento di Gela, l’altro presso la prefettura di Caltanissetta per affrontare i riflessi sull’attività dell’indotto. Un terzo incontro è avvenuto a Roma, con i sindacati nazionali del settore energia.
La direzione Refining & Marketing di Eni lamenta in Italia un’eccedenza di “raffinato” (benzina e gasolio) pari a 100 milioni di tonnellate, che non si riescono a vendere. Così è stata fermata l’intera Raffineria di Porto Marghera (Venezia) per 6 mesi, col personale in cassa integrazione. Ripartirà, come concordato con i sindacati, il 2 maggio prossimo. Poi toccherebbe a Gela, che sarebbe chiamata a fermare la linea di produzione 1 e la 3, cioè Coking 1 ed FCC, lasciando in marcia il Coking 2 che lavora il greggio locale e i residui pesanti provenienti dall’estero.
Già oggi la marcia delle tre linee procede al 60%.
Nel frattempo verrebbero effettuate le manutenzioni degli impianti e realizzati gli investimenti annunciati. Ma nell’indotto si teme che la cassa integrazione riguarderà anche buona parte dei tremila tra edili, metalmeccanici e dipendenti dei servizi che operano nel petrolchimico gelese. L’Eni avrebbe assicurato alle controparti che dopo i 12 mesi di fermata verranno ripristinati i normali livelli produttivi e occupazionali. I sindacati della chimica e dell’energia, avuta la comunicazione, hanno lasciato il tavolo di confronto e hanno convocato d’urgenza il consiglio delle rappresentanze sindacali unitarie (l’ex consiglio di fabbrica) alle 11.30. L’assemblea dovrà decidere la strategia da adottare di fronte alle scelte aziendali.
Sta suscitando grandi preoccupazioni e movimenti di protesta, a Gela, il progetto dell’Eni di chiudere, per un anno, due delle tre linee di produzione della Raffineria, e di collocare in cassa integrazione 800 lavoratori (500 del diretto e 300 dell’indotto). Il sindaco, Angelo Fasulo (Pd), ha convocato per domattina in municipio Cgil Cisl Uil e Ugl e stasera incontra i consiglieri comunali.
“È una situazione – ha detto il primo cittadino – che va monitorata e che richiede la presenza forte dell’amministrazione e di tutte le forze politiche e sindacali”. Venerdì, lo stesso Fasulo incontrerà i deputati eletti nel territorio gelese.
“Insieme – ha aggiunto – valuteremo le azioni da compiere, confrontandoci direttamente con i vertici della raffineria, per ottenere chiarimenti in merito alla loro decisione e soprattutto risposte sul destino dei 500 lavoratori (su un organico di 1200) destinati alla cassa integrazione”.
Ma l’Eni assicura che i patti saranno rispettati, nello spirito dell’accordo del maggio 2011, come avviene a Porto Marghera, che il 2 maggio torna in produzione dopo 6 mesi di fermata totale. “Ai 500 lavoratori del diretto – dice uno dei dirigenti della raffineria di Gela – sarà garantito il 100% del salario, perchè l’azienda coprirà quel 20% non erogato dalla cassa integrazione”.
Per i 300 dei 1.100 dipendenti dell’indotto, invece, sarà lo Stato a intervenire. La Regione siciliana, infatti, si sarebbe impegnata a chiedere la dichiarazione dello stato di crisi per l’area di Gela. Ma il sindacato respinge nettamente il progetto aziendale e dichiara lo stato di agitazione. Lo ha fatto durante il consiglio di fabbrica riunito d’urgenza nel pomeriggio.
“È una cura da cavallo quella che si impone alla raffineria di Gela – ha detto un rappresentante sindacale – col rischio però che il paziente muoia”. Il timore, per tutti, è che saltino gli investimenti programmati, pari a 500 milioni di euro. E senza investimenti che ne rilancino produttività e ruolo, Gela non ha futuro. Lo stabilimento (per varie ragioni) ha accumulato negli ultimi tre esercizi perdite annue pari a 200 milioni di euro.
C’è chi, pur ammettendo la fondatezza dei motivi della scelta dell’Eni, ha obiettato definendo iniqua la scelta, perchè sui previsti due anni di tagli per rimettere in carreggiata la produzione delle cinque raffinerie dell’Eni, Gela, da sola, ne deve sopportare uno, pagando di fatto metà del costo dell’intera operazione.
Il presidente della commissione regionale antimafia, Calogero Speziale (Pd), ha definito “inaccettabile il comportamento dell’Eni che scarica sui lavoratori e sulla comunità il fallimento delle proprie strategie di politica industriale” e sollecita il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, a convocare le parti e a fare in modo che si apra un tavolo di trattative al ministero delle Attività produttive.
“L’Eni non può chiudere il rapporto con Gela dicendo siccome ci va male chiudiamo – afferma in un suo comunicato l’europarlamentare Rosario Crocetta (Pd) -, deve piuttosto cambiare fortemente la sua strategia, puntando in territori come Gela alla produzione di energie rinnovabili ed ecosostenibili che determinano nuovi posti di lavoro, non inquinano e usufruiscono di grandi incentivazioni”.