L’armadio delle stagioni è stipato e variopinto. Ogni mese ha un abito tipico e dei colori che meglio lo caratterizzano. Agosto si veste del giallo del solleone che brucia le messi, aprile del verde degli orti primaverili, gennaio del bianco-rosa dei mandorli in fiore… Ogni mese indossa un suo vestito, emana profumi propri, ha dei sapori peculiari… novembre profuma di castagne, maggio di fragole, luglio di cantalupi.

Forse ognuno di noi veste il tempo a modo suo, legandolo a sapori, ma anche a ricordi tutti personali, finendo così per riempiere il proprio armadio di memorie di volti, momenti, parole. Se alcune circostanze vengono condivise da due o più persone, può accadere che sia un’intera comunità a vestire i mesi con abiti dalle stesse tinte, sono le consuetudini che entrano a far parte integrante del vivere insieme.


Se si provasse a chiedere ai fedeli della Chiesa Madre di Ravanusa quali siano i colori di dicembre, molto probabilmente parlerebbero del rosso dei lumini accesi nel buio della Chiesa Madre, alle cinque di mattina, del chiaroscuro della penombra in cui si recitava il rosario a Gesù Bambino, del bianco della ricotta fumante misto al giallo del siero che, nell’ultimo giorno della novena di Natale, i pastori scodellavano, nel cortile dell’Istituto delle suore teresine, attiguo alla chiesa. Tinte e sapori che mescolati insieme come nella tavolozza di un pittore, ridipingono nella memoria di ognuno di noi il Natale ravanusano degli ultimi anni, quello vissuto insieme a Padre Emanuele e al suo convincente “Chi non veglia non si sveglia”.

“Chi non veglia non si sveglia” è stata la voce dell’alzata mattutina che ha buttato giù dal letto, per poco meno di dieci intensi anni vissuti con il padre, i tanti fedeli ravanusani accorsi a partecipare all’alba alla novena. Un’attrattiva per alcuni, una curiosità da indagare per altri, un esercizio di attesa, purificazione e preparazione al Natale per molti. Una consuetudine, ormai, alla quale non rinunciavano giovani studenti prima di recarsi a scuola, come anche lavoratori e pensionati prima di iniziare le loro attività, tutti uniti insieme in un addestramento all’ “Attesa” della gioia più grande: l’arrivo di Gesù. Nove mattinate di fatica e sacrifici, come nove sono i mesi della gravidanza spesi nella speranza e nell’aspettativa in vista di una nuova vita capace di rigenerare…

“Chi non veglia non si sveglia” uno slogan, uno dei tanti coniati da padre Emanuele e che risuona alle orecchie di quanti continuano a pensare a lui e alla sua indefessa solerzia ad allontanare da abitudini malate, mode sterili, difetti nocivi, come quello di trattenersi, proprio nel periodo natalizio, fino a tarda notte, tra nuvole di fumo, nel gioco d’azzardo, fonte di inimicizie o gravi perdite economiche, nelle case disabitate del paese o disseminate nelle campagne circostanti. “Io non gioco” diceva padre Emanuele, suscitando lo stupore in noi giovani di qualche tempo fa, che nel gioco a carte non vedevamo nulla di male. Padre Emanuele ha dato un nuovo habitus a queste radicate e malsane abitudini, proponendo una veglia che rinfranca, che libera dai vincoli del malcostume e dalle catene dei vizi, rappresentati, qualche anno fa, nel presepe su una macchina incidentata, portata in chiesa per sensibilizzare sulle stragi del sabato sera, conseguenza diretta della mancanza di senso di responsabilità. A Natale Dio torna ad incarnarsi per la nostra redenzione e come diceva padre Emanuele: “Il Dio perfetto e immutabile si è fatto imperfetto e mutabile … Dio si è fatto come noi per renderci divini come Lui”.

“Chi non veglia non si sveglia”, un monito a tenere alta la guardia, a non lasciarsi abbindolare dalle mode o dal sistema, che tutto propina e tutto consuma, divorando il senso critico e appiattendo le coscienze, riducendo alla cieca accettazione di tutto ciò che conforma agli altri e rende gli uomini burattini manipolati da forze economiche e politiche. “Colui che ha creato l’uomo a Sua immagine ha scelto di essere non immagine dell’uomo, ma di essere uomo stesso affinché ogni persona si renda conto che per essere come Dio, bisogna prima essere veri uomini”. Gesù viene nel mondo come “segno di rottura” ad innestarsi e a superare un passato, una tradizione, una cultura sterile, alla quale si oppone al costo della vita. Padre Emanuele tante volte ci ha esortato a rompere le catene delle schiavitù su cui la nostra società si regge quali i voti di scambio, la corruzione o varie forme di ingiustizia come la privatizzazione dell’acqua, fino a spingersi all’ideazione di un presepe con i bidoni dell’acqua, fonte di vita, sovrastato dalla scritta provocatoria e potente di “Gesù sei prezioso come l’acqua”.

“Chi non veglia non si sveglia”, un’esortazione ad andare controcorrente a lanciare sfide, per rinnovare la faccia della terra, come quella di un Dio che si fa piccolo per i piccoli e si presenta al mondo indifeso, in quanto bambino, nudo in quanto indigente. La rivoluzione cristiana parte da una grotta, dal mondo povero di una coppia senza un tetto, che cerca ospitalità e trova porte chiuse in faccia proprio come oggi accade a tanti immigrati costretti a scontrarsi prima con il mare poi con una società ostile e autoreferenziale, nell’indifferenza di chi oggi considera ancora normale che migliaia di persone affoghino in quel mare dove poi ci si svaga durante l’estate. Proprio da Lampedusa arrivava la barca, all’interno della quale, un’altra volta, sono state poste le immagini della Natività, segno visibile di quelle parole che tante volte leggiamo nel Vangelo, ma sulle quali non ci soffermiamo: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, […]”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? […]” E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

A Natale il pensiero è volato alla chiesa bianca dove capitava spesso di vedere padre Emanuele passare per i corridoi a dare gli ultimi suggerimenti per il presepe in allestimento o a compiacersi del fervore in quella chiesa trasformata in un’officina di idee e di confronti nel creare strutture, adornare altari e colonne, inventare soluzioni per effetti luminosi, panneggi, appoggi per icone o statue, grazie alla perizia e all’accuratezza di tanti, il cui talento, valorizzato e incoraggiato da padre Emanuele, ha originato vere e proprie opere d’arte. Come in una grande famiglia tutti insieme appassionatamente muniti di aghi, forbici, scale e tanto tempo da spendere gratuitamente, molti fedeli hanno realizzato veri e propri presepi didascalici.

Per quei corridoi padre Emanuele non passa più.

Lo spazio che ha riempito con la sua presenza, però, si è solo apparentemente svuotato. Se lo fosse stato realmente, esso sarebbe svanito e non esisterebbe più, invece la voce e l’esempio di padre Emanuele continuano a riecheggiare fuori e dentro la chiesa, nei tanti luoghi del paese in cui ha portato la Parola, e nelle nostre coscienze ancora pregne di insegnamenti concreti e fortissimi.

Rimane quindi la gratitudine verso un padre, che ci ha amati, sostenuti e guidati come figli, parlandoci di Cristo e mostrandoci il Suo Volto. Padre Emanuele, con il suo apostolato tra noi, ci ha indicato la Vera Via, l’unica percorribile per un cristiano, la Croce, che lui ha abbracciato, per amore.

Così in comunione spirituale con padre Emanuele, in quei giorni di “Attesa” siamo tornati ad avviarci, tra le strade deserte del paese, nel silenzio dell’alba, verso l’unica meta, la povera grotta di Gesù Bambino…

Manuela Lazzaro

(Gruppo Giovani San Giacomo)