Una ragazzino di tredici anni è morto di tumore al cervello a Gela. Si chiamava Danilo e sono i tanti a piangere per la sua morte. E tanti ad esserne spaventati, perché quando qualcuno muore di tumore a Gela, e non solo a Gela ma nelle aree ad alto inquinamento ambientale, vengono i brividi, c’è paura e costernazione. La giovane vita stroncata da un male incurabile, dunque, può non essere rappresentativa di una condizione ambientale ad alto rischio, ma smarrisce, crea sgomento. Ci si interroga sui veleni del “progresso”, sui pericoli dell’industria. Valeva la pena? È giusto che la città paghi il bisogno di lavoro?

Sono domande che a Gela, Milazzo, Priolo, Augusta si fanno da sempre. Come a Taranto, Mestre ed altrove. Non sono ansie prive di senso, timori esagerati, seppur non confortati da dati oggettivi e indagini scientifiche. Se i presidi antinquinamento fossero oggi adottati con solerzia ed efficacia, rimarrebbe il passato, che incombe come una cappa. I malati di amianto crescono di anno in anno perché gli effetti terribili dell’amianto cominciano a manifestarsi dopo venti anni, talvolta più tardi.


In ottobre del 2012 ben 160 provvedimenti Aia – autorizzazione integrata ambientale – giacevano inevasi in fase istruttoria alla Commissione Ippe del Ministero, formata da docenti universitari, magistrati, fisici, ingegneri, geologi e chimici. Fra i fascicoli da esaminare c’erano 121 aggiornamenti, quattro riesami, 13 rinnovi, ma anche 18 impianti sprovvisti di autorizzazione, che perciò non erano tenuti a rispettare gli standard di esercizio ed emissioni previsti dall’Unione Europea.

Ritardi che sono costati all’Italia persino una condanna della Corte di Giustizia europea nel mese di marzo del 2011. “La Commissione è inefficiente, affermava il vice presidente di LegaAmbiente Stefano Ciafani. Non è possibile che una situazione così esplosiva come quella di Gela, dove il tasso di bambini malformati è sei volte quello del resto d’Italia e i casi di tumore e malattie renali hanno una incidenza doppia rispetto alla media nazionale, non sia regolamentata”.

Gela non aveva la certificazione ambientale fino a tre anni or sono. Avrebbe dovuto averla sin dal 2005. Quali danni, alla salute ed all’ambiente naturale, sono stati provocati da obblighi di legge non rispettati, da una prevenzione pressocché assente, dal western “industriale” nelle petrolchimiche e raffinerie siciliane?

Le sensibilità sono cambiate, questo è un dato incontrovertibile, ed il più confortante. Le comunità locali vigilano, l’autorità giudiziaria si muove coin tempestività ed efficienza (sono molte decine i processi per inquibamento ambientale nati dalle istruttorie della Procura della Repubblica di Gela). E poi ci sono stati gli annunciu nell’anno che è appena andato via, il 2013. Il presidente della Regione, Rosario Crocetta ha anticipato ed illustrati, in grandi linee, un progetto di prevenzione oncologica per le aree di Siracusa, Gela e Milazzo. Avrebbe dovuto essere definito un piano straordinario per le aree ad alto rischio ambientale che ospitano gli insediamenti industriali, affidato all’assessorato alla Salute. Il principale obiettivo avrebbe dovuto essere il potenziamento della rete sanitaria, “interventi mirati per la gente che abita in quei territori”. L’attuazione, in definitiva di una legge regionale del 2009 che prevedeva, risorse e presidi di sicurezza, controllo e prevenzione nei territori che “ad alta incidenza delle patologie connesse alle condizioni ambientali, in specie le patologie oncologiche, neurodegenrative, malformazioni e disturbi dello spettro autistico”.

“Attraverso il piano – promisero il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, e l’assessore alla Salute, Lucia Borsellino -investiremo soldi per implementare gli strumenti di sorveglianza epidemiologica, strategie di prevenzione di massa, screening di popolazione, cura delle patologie prevalenti nelle aree interessate, comprese tra Gela, Priolo e Milazzo, ed anche la presa in carico degli ex esposti”.

Ora è venuto il momento di raccontare ciò che si è fatto e non si è fatto, come stanno le cose, quali dati sono stati raccolti e quale futuro attende le popolazioni interessate. La gente deve sapere. Ne hanno diritto, soprattutto, i familiari di Danilo , morto di tumore al cervello.

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