Settantadue indagati, cinquantaquattro misure cautelari eseguite, perquisizioni e sequestri. Sono gli imponenti numeri dell’operazione Ianus, l’inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta ed eseguita ieri dalla polizia di Stato, che ha fatto luce sugli interessi di Cosa nostra e Stidda gelese e su un fiorente traffico di stupefacenti in diverse province siciliane. Anche e soprattutto nell’agrigentino. Ed è proprio l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga il principale reato contestato – a vario titolo – agli agrigentini coinvolti nel blitz.

Alcuni di loro sono indagati a piede libero, per altri si sono aperte le porte del carcere e altri ancora sono stati raggiunti da misure cautelari quale il divieto di dimora. A firmare il provvedimento è il gip del tribunale di Caltanissetta, Santi Bologna. Tra loro ci sono “vecchie” e “nuove” conoscenze del panorama criminale agrigentino coinvolte nel recente passato in inchieste sul traffico di stupefacenti. Agli indagati finiti in carcere o ai domiciliari il gip ha riconosciuto la sussistenza dell’aggravante dell’aver favorito Cosa nostra gelese mentre per gli altri – ed è qui la differenza di applicazione delle misure cautelari. A tutti, comunque, viene contestato il reato di associazione a delinquere. Per gli inquirenti, dunque, gli agrigentini coinvolti sia autonomamente che in concorso tra loro avrebbero consentito alla mafia di Gela di espandere significativamente i propri traffici anche in provincia e, in particolare, a Racalmuto, Agrigento, Licata e Canicattì.