red and black train on rail road during daytimeSenza polemica o giudizi inutili, vorrei sottolineare un aspetto che molti sembrano aver trascurato nell’affaire (uso volutamente questo termine di memoria sciasciana) dello spettacolo di Nisi a Naro.
Sorvolando sulla leggerezza — riconosciuta dagli stessi organizzatori — nella scelta dell’artista, la questione va oltre il singolo episodio e riguarda la libertà di espressione.

Pur non condividendo lo stile e i testi del trapper, non mi sognerei mai di giudicare o, peggio ancora, invocare la censura.


Viviamo in un’epoca in cui l’espressione musicale ha smarrito ciò che un tempo si chiamava “qualità” (sempre opinabile), trasformandosi soprattutto in un prodotto.
E come ogni prodotto, vive della legge di domanda e offerta: più cresce la richiesta, più diventa moda.
Se per molti è un perfetto sconosciuto, per alcune fasce generazionali Nisi è invece un riferimento: se non un artista in senso stretto, almeno un influencer, visto il numero di follower, visualizzazioni e la viralità dei meme che lo accompagnano.

Capisco che oggi sia più facile sparare sentenze preconfezionate che pensare. Ma ciò che accade oggi a qualcun altro, domani potrebbe accadere a noi: il rischio di non poter esprimere liberamente il proprio pensiero.

La domanda vera da porsi non è se Nisi piaccia o meno, bensì: perché lui — e altri simili — riescono a riscuotere tanto seguito tra una parte delle nuove generazioni? Perché stereotipi di “serie B”, come insultare le forze dell’ordine o esaltare il guadagno facile, attecchiscono più dei valori della nostra Costituzione, che tutela diritti e libertà?
Forse perché noi adulti, inconsapevoli modelli, sui social ci comportiamo spesso in modo astioso, pressapochista, da tuttologi improvvisati?
E ancora: conosciamo davvero gli artisti che i ragazzi ascoltano? Gli influencer che seguono? I creator che guardano su YouTube?

La censura è l’arma dei totalitarismi per soffocare il pensiero libero. Uno Stato di diritto non censura: risponde con gli insegnamenti, con i valori, con la memoria della storia che ci ha portato fin qui.

Chi disprezza questa cultura urbana può anche ritenersi estimatore della “musica di qualità” dello scorso secolo. Ma va ricordato che quelle stesse canzoni, ai loro tempi, erano bollate come urlate, volgari, violente.

Accendiamo il cervello, scolleghiamoci un po’ dai social e scendiamo in strada a parlare con i giovani: solo così si può cambiare lo stato delle cose.

Vorrei ricordare a me stesso e a tutti le parole attribuite a un Presidente che ha lottato contro il nazifascismo:
“Combatto la tua idea che è contraria alla mia, ma sono pronto a sacrificarmi perché tu possa sempre esprimerla liberamente.”

E, per chiudere, prendo in prestito alcuni versi di Guccini che, oggi, con le dovute differenze di stile, verrebbero forse etichettati dai leoni da tastiera come violenti o sovversivi:
“Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore
 mentre fa correr via la macchina a vapore
 e che ci giunga un giorno ancora la notizia 
di una locomotiva, come una cosa viva,
lanciata a bomba contro l’ingiustizia.”

Gero Marsala