L’Associazione nazionale magistrati apprende “con preoccupazione” che il premier Monti ha definito ‘grave’ il caso delle telefonate del capo dello Stato intercettate nel corso dell’indagine palermitana, parlando di abusi: la questione è oggetto di un conflitto di attribuzione e pertanto “appare improprio – dice l’Anm – ogni possibile riferimento a presunti abusi”.

L’Associazione nazionale magistrati “rileva che la questione relativa alle procedure cui assoggettare le intercettazioni indirette dei colloqui del presidente della Repubblica è oggetto di un conflitto di attribuzione, in merito al quale è doveroso attendere la decisione della Corte costituzionale. Pertanto, allo stato appare improprio ogni possibile riferimento a presunti abusi che sarebbero, comunque, oggetto di altre procedure di controllo, secondo gli strumenti previsti dalle normative vigenti”.

La discussione sulle intercettazioni è particolarmente calda. “Non condivido le ultime parole di Monti sull’operato della Procura di Palermo – ha detto il pm Ingroia -. Non ci sono mai stati sconfinamenti della magistratura, semmai della politica”.

Il premier aveva ritenuto un grave abuso l’ascolto delle conversazioni di Napolitano con l’ex ministro Mancino da parte dei pm palermitani. “Sullo specifico tema delle intercettazioni – ha aggiunto Ingroia – ribadisco forte preoccupazione qualora si dovesse rimettere in moto il progetto di legge dell’ex ministro Alfano, in parte approvato dal parlamento, perché comporterebbe una grave limitazione agli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata”.

Il Pdl ha chiesto al ministro della Giustizia di non porre la fiducia su intercettazioni, anticorruzione e responsabilità delle toghe. E il leader dell’Italia dei valori, Antonio Di Pietro, ha tuonato: “No a ricatti sulle intercettazioni”. Sulla vicenda è intervenuto anche Beppe Grillo: “Non sono affari di Monti”.

Nuovo affondo del procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia dopo le polemiche con il premier Monti. “Il riferimento a noi e all’attività della procura di Palermo – dice in un’intervista a Sky Tg24 – è un pò ingeneroso”. Anche perché “abbiamo avuto di recente conforto e sostegno dall’intervento, molto apprezzato, del presidente Zagrebelsky, profondo conoscitore del diritto e della Costituzione, che ci dà ragione”.

“Abbiamo sempre rispettato la legge – aggiunge Ingroia – e sempre rispettato le regole.
Lo scontro tra la procura di Palermo e il presidente della Repubblica è arrivato davanti alla Corte Costituzionale “perché ancora una volta la politica è stata inerte”.

“Il conflitto di attribuzione – afferma – è uno strumento che legittimamente il Capo dello Stato ha scelto per trovare una soluzione diciamo superiore, che la Corte Costituzionale potrà fare, su un punto che è oggetto di controversia”.

Ma “per la verità – aggiunge – si è arrivati a questo punto poiché il Parlamento non ha legiferato benché già 20 anni fa il ministro Flick, in un caso analogo in cui era stato accidentalmente intercettato il presidente della Repubblica Scalfaro, aveva registrato un vuoto legislativo”. E di fronte a questo vuoto, sottolinea Ingroia, “i magistrati non possono far altro che applicare la legge così come è”.

“Si trattava di fare una nuova legge – conclude – che però non è venuta perché ancora una volta la politica è stata inerte”.

C’è un “canale aperto” tra la procura di Palermo e i legali di Silvio Berlusconi ed è dunque molto probabile che l’ex premier si presenterà per esser sentito come testimone nell’inchiesta in cui è indagato Marcello dell’Utri per estorsione proprio nei confronti dell’ex presidente del Consiglio.

“Noi abbiamo citato Berlusconi come testimone – afferma – Evidentemente il presidente ha molti impegni e gli abbiamo offerto una rosa di date nelle quali presentarsi. Siamo fiduciosi, c’è un canale di comunicazione aperto attraverso il quale speriamo di poter andare avanti”.