Povera terra nostra, poveri noi. Osservo con sgomento ai processi in atto che si stanno producendo nel mondo, ahinoi!, globalizzato e una tristezza mista a rabbia mi colma fino al punto da farmi odiare questo ventre che mi ha accolto e in cui sono costretto a vivere. Leggo il post del preoccupato genitore che lamenta il mancato finanziamento del trasporto scolastico. Forse non era prevedibile? Che la casta politica (interamente meritata) stesse divorando tutto non era chiaro già da anni? Hanno divorato il nostro presente e il futuro dei nostri figli, nipoti e di chissà quante altre generazioni. E forse lo scempio si ferma lì? E la sporcizia, l’incuria, il disordine, l’inciviltà, il menefreghismo imperanti di cui tutti, chi più chi meno, siamo attivi protagonisti sono forse una fantasia? E la scuola dov’è? Dove sono i cittadini consapevoli? Ci stiamo interrogando su cosa si va socialmente ed economicamente costruendo per il tempo a venire? E l’acqua?  E la mancanza di programmazione politica? I nostri politici si siedono forse attorno ad un tavolo e studiano, studiano, studiano per offrire soluzioni al loro popolo come sarebbe d’obbligo, oppure seguono logiche spartitorie di poltrone che assorbono totalmente il loro tempo? Domanda oziosa. Con quale spirito assumono una carica? Si rendono conto che hanno nelle mani le vite di intere comunità? Ma il dramma conclusivo sta nel fatto che è l’intero nostro sistema sociale a non funzionare bene tranne che nell’antica arte delle lamentazioni di cui siamo specialisti. Scusate lo sfogo, ma non ne posso più! Ora questi arriveranno per chiedere il voto. Ora offriranno il loro obolo ai poveri per carpirne il consenso e inizierà la triste pantomina delle scorribande elettorali in cui nessuna vergogna fermerà l’ingannevole valanga di vaneggiamenti e promesse. E noi andremo a votare. E a sperare. Come sempre. Un’ultima cosa: che nessuno si permetta di chiedermi il voto, è l’unica inutile libertà rimastami (che probabilmente non eserciterò nemmeno).
Giovanni Samperisi