Bryant dopo lo show in gara-1 contro Orlando non si concede nulla: “Dimenticare in fretta questa partita, è la cosa migliore”. Vuole il primo titolo senza O’Neal: “Sono motivato come non mai”. Phil Jackson: “Gioca sempre così le partite che contano”

Kobe Bryant, stella dei Lakers
Kobe Bryant, stella dei Lakers

LOS ANGELES, 5 giugno 2009 – Lo stesso sguardo della vigilia, gli stessi occhi della tigre, le stesse parole (poche), la stessa intensità che aveva dimostrato in campo sino a pochi minuti prima. Per Kobe Bryant non è cambiato nulla. Il +25 di gara-1 lo lascia quasi indifferente, anche se alla fine un sorriso gli scappa.


dimenticare in fretta — La domanda su cosa dovranno fare i Lakers nei due giorni che separano le squadre da gara-2, dopo la larghissima vittoria, ancora più netta di quanto lo scarto già ampio lasci intuire, è l’assist che aspettava: “Dimenticare in fretta questa partita, è la cosa migliore”. Tenere alta la guardia, perché Orlando non potrà giocar peggio di quanto fatto nella prima gara per l’anello. Il primo capitolo della saga che dovrebbe portare i gialloviola al 15° titolo e Bryant al primo senza Shaq e al primo premio di mvp delle finali, si chiude lì, sulle scarne parole del figlio di Jellybean. La maschera che indossa, sistemandosela con cura dietro le quinte da attore consumato qual è, resterà incollata al viso del 24 gialloviola sino alla sirena dell’ultima partita di questa serie che pare già segnata. “Non avete idea di quanto voglia vincere – prosegue – Sono motivato come non mai”. Ci crediamo Kobe.

fenomeno con maschera — Con o senza la maschera da killer, che invece rischia solo di alimentare le critiche sulla sostanza del campione, su quello che c’è sotto il vestito. Eppure è tanto semplice. Chi lo ha visto dipingere pallacanestro sul parquet dello Staples Center giovedì sera è rimasto incantato. Chi lo ama lo ha osannato, chi lo odia non ha potuto non applaudirlo. Persino coach Phil Jackson, “nemico” per la pelle di Kobe, pur trovando il modo di tirargli una frecciatina (“Lo abbiamo cercato un po’ troppo spesso in attacco”) ha ovviamente riconosciuto la prova stratosferica del suo campione: “Sorpreso? No, gioca sempre alla grande nelle partite che contano”. La maschera sino alla fine, anche quando si tira in ballo la famiglia: “A casa le mie bambine mi chiamano brontolone in questi giorni”. Ok Kobe, fermati pure, ci hai convinti. Ci sono momenti in cui ti viene voglia di strappargliela, di vedere cosa c’è dietro, di capire perché ha così tanto bisogno di legittimazione da parte di tutti, amici o nemici, bianchi o neri, avversari o compagni. Ma poi ripensi a quello che ha fatto qualche decina di minuti prima, a quei tiri sospeso in aria, finta, avvitamento, difensori storditi, solo il fondo della retina. E allora abbassi lo sguardo e, almeno per una sera, lo accetti per quello che è. Un fenomeno paranormale. Con o senza maschera.

 Fonte: Gazzetta.it

 A cura di Gioachino Asti

Gioachino Asti, opinionista sportivo
Gioachino Asti, opinionista sportivo