trentesimo anniversario dell’uccisione del giornalista e scrittore Giuseppe Fava, assassinato a Catania, all’età di 58 anni, davanti al teatro Verga, dove si era recato in macchina per prendere la nipote che recitava in “Pensaci, Giacomino” di Luigi Pirandello. Inizialmente classificato come delitto passionale, per l’omicidio sono stati successivamente condannati i boss Nitto Santapaola, Aldo Ercolano e Maurizio Avola. A trent’anni di distanza dal delitto mafioso, sono state numerose le iniziative per ricordarlo: mostre, dibattiti, rappresentazioni e convegni. Il clou su Rai 3 (stasera alle 21.30) che trasmetterà il docu-film “I ragazzi di Pippo Fava”, proiettato in anteprima al Teatro Bellini.
“GIOCAVO A RISIKO”. Toccante il ricordo del figlio Claudio, politico di Sel, sul suo profilo di Facebook. “Dopo trent’anni – scrive ci tando i giovani cronisti che con lui facevano parte della redazione del mensile “I siciliani” -, se dovessi portare con me una cartolina di quei giorni e degli anni che vennero dopo, sarebbe quella del tavolo della signora Roccuzzo, il cartone slabbrato del risiko, la faccia ancora im macolata di quattro ragazzi che si stanno gio cando l’ultima partita, prima che la vita gli precipiti addosso.Quella sera eravamo in quattro. Noi quattro, come al solito, attorno al tavo lo della cucina a casa della signora Roc cuzzo. Riccardo scelse i gialli, che non vo leva mai nessuno. Antonio e Miki rossi e neri, una vecchia sfida di colori domina ti che non si risolveva mai. Io mi presi i ver di, colore fesso, tiepido, di quelli che non lasciano traccia. Giocammo con candore e accanimen to, come sempre, improvvi sando allean ze, atacchi e ripiegamenti, sacrifici, tradi menti: tutto”.
Fava ricostruisce le fasi serrate della partita: “Il canovaccio prevedeva ruoli immutabi li. Miki con la sua bella fac cia da guappo dava la scala ta al mon do spostand o armate attraverso oceani imma ginari. Antonio, prudente come un segre tario di sezione, puntava alla Cina, cuore immobil e di un’Asia at traversata da straordi narie mito logie, la Yacuzia, la Kamchat ca, il Siam… Ric cardo intanto s’ammas sava da qualche parte e lì aspetta va la guerra, sag gio im mobile, come se quell’unico territor io pos seduto fosse l’isola di Strom boli, pro tetta dal mare e dagli dei. Di me non so, non ricordo: ap plicavo le regole del gio co, attaccavo, ar retravo, pas savo la mano. Pensavo che le guerre si vincono provando a non perder le, facendo i ragio nieri sulle baionette. Avevo ancora un’età onesta, mi era con sentito non capi re un cazzo. Insomma la partita fu come altre cento prima di quella sera: lunga, sfacciata, rio tosa. Nessuno vinceva, nessuno vin se”.
“Non so chi – conclude – alle tre del mattino prese il logoro cartone del risiko e lo fece sal tare in aria mescolando definitivamente carri armati, territori, ambizioni. Per la prima volta scegliemmo di non arrivare fino in fondo: ci mandammo allegramen te affan culo e ce ne andammo a dormire strippati di amaro Averna, sazi e giusti come chi crede di essere immortale. Il giorno dopo ammazzarono mio padre”.
UN VENTO PESANTE SU CATANIA. In mattina la deposizione di una corona di alloro da parte del sindaco Enzo Bianco davanti alla lapide nella via intitolata al giornalista a Catania .”Nel 1984 – ha detto il sindaco Bianco deponendo la corona di allora – Pippo Fava era solo a denunciare che a Catania era arrivata la mafia. C’era la parte dominante della città, anche le sue istituzioni, che voltava la testa dall’altra parte. Oggi non è più così, ma come allora c’è un vento pesante su Catania, un vento di illegalità, di poteri criminali, di collusioni di interessi”.
Per il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, “è ancora vivo e forte il ricordo di Fava, grande intellettuale, scrittore e giornalista che con l’esperienza de ‘I Siciliani’, è stato palestra e scuola di libertà di informazione come alternativa alla cultura mafiosa e ad una informazione reticente e collusa”.