Ravanusa, adesso che abbiamo ben presente l’entità della tragedia, spente le fiamme , spente le luci? Torno sull’argomento, che a trattarlo credo sia il modo migliore per portare rispetto alle vittime di questa tragedia. Credo che il miglior modo per rendegli giustizia , sia fare giustizia.

La rabbia, quella ci vuole la rabbia di una terra che sta scivolando sempre più in basso, che assiste a un degrado del territorio mai visto, una terra dove ciò che succede  non si comprende bene mai di chi sia la colpa, perchè a pagare è sempre la povera gente , la stessa sulla quale poi quintali di ipocrito dolore fa accendere i riflettori per poi spegnerli dopo solo qualche giorno. Andrò contro corrente, non racconterò la vita delle povere vittime per nutrire la morbosa curiosità del momento, noi di provincia ci conosciamo tutti e sappiamo bene che le vittime a vario titolo erano persone degne dell’amore e dell’affetto della comunità.


Quello che mi chiedo invece è, se finito il trambusto nazionale, tolte via le macerie e lasciato quello squarcio nel cuore del paese , non si assisterà ad una nuova Ustica siciliana in salsa ravanusana.  Perché quando ci sono di mezzo le multinazionali, le scrivanie sulle quali rimbalzano le responsabilità sono talmente tante che neanche all’Ikea. Taluni perdoneranno il mio non essere stucchevole, ma la rabbia è un ingrediente che si sposa poco con la stucchevolezza.

Quello non è stato un terremoto, un alluvione, uno tsunami, quella di Ravanusa è stata una disattenzione alla pari di un folle che passa col semaforo rosso o di un pilota di aereo che decide di venire già sulla città. Vorrei che questo pezzo scritto con rabbia bagnata dalle lacrime, desse una indicazione, puntasse il dito, indicasse altre possibili tragedie. I nostri paesi vivono un disastro  idrogeologico di cui tutti siamo responsabili, alcuni in maniera attiva, dando concessioni a cuor leggero e girandosi dall’altra parte in diverse occasioni,  altri in maniera passiva, sapendo ma non parlando, girandosi anche loro da un’altra parte.

Parlo del paese in cui vivo, Canicattì, ma potrei parlare di qualsiasi altro paese della nostra provincia, e faccio un appello affinché si faccia un monitoraggio straordinario della rete del gas, che insiste sotto i nostri piedi. Sono tante le situazioni che si potrebbero venire a creare in diverse parti della città simili a quelle createsi a Ravanusa. Certo è che se l’acqua fosse gas, noi saremmo saltati in aria già da parecchio tempo.