L’amministrazione comunale si schiera contro gli abusi derivanti dalla somministrazione e vendita e l’uso improprio da parte della clientela di bottiglie e lattine, contenenti bevande alcoliche e non, fenomeno alquanto diffuso e dai risvolti negativi in termini di sicurezza urbana, incolumità e salute pubblica. Vietato dunque, vendere alcolici da consumare per strada. Vietato bivaccare nelle zone del centro e tenere comportamenti contrari alla decenza che possano compromettere l’ordine pubblico. E’ questo ciò che prevede la nuova ordinanza emessa dal sindaco, Vincenzo Corbo.

Il divieto è esteso anche agli esercizi temporanei di somministrazione e vendita, allestiti in occasione di manifestazioni, fiere, sagre e spettacoli, nonché alle imprese che esercitano il commercio o somministrazione su area pubblica di generi alimentari e bevande, sia in sede fissa, chioschi, che itinerante. Rimane consentita la vendita purchè le bevande alcoliche siano consegnate unitamente ad altri cibi da asporto. Non ottemperare a queste disposizioni comporta sanzioni amministrative agli interessati, il sequestro di quanto utilizzato per commettere la violazione e, ai titolari delle attività commerciali, la sanzione accessoria della sospensione dell’autorizzazione all’attività di esercizio. Io penso che impedendo la vendita di alcoolici non si risolva l problema delle risse, allora che facciamo evitiamo gli incendi estivi impendendo la vendita di accendini o limitiamo gli incidenti evitando la vendita di auto…il mio parere è che si tratti di mera propaganda, il Sindaco si impegni di più a garantire luoghi di ritrovo per i giovani ed a sistemare le zone degradate della città, forse in questo modo avrà senza dubbio più seguito.


Quella di imporre il divieto come soluzione di un problema, senza mai entrare nelle pieghe profonde del tema per rintracciare cause e soluzioni efficaci, è troppo facile come soluzione!!!

Nel caso specifico del consumo di bevande alcoliche questo schema trova davvero la sua sublimazione.

I giovani italiani sono educati all’uso di alcolici da una campagna pubblicitaria permanente su ogni tipo di media. Dalla primavera di ogni anno iniziano gli spot della birra che vedono protagonisti testimonial di prim’ordine. Passando per limoncelli, whisky, amari e quant’altro si arriva ai vini autunnali terminando l’anno con il tripudio di “No Martini no party”. Ho certamente dimenticato qualche prodotto molto noto, ma il senso del mio pensiero non cambia: libertà assoluta di pubblicità di prodotti alcolici.

Bisogna trovare nuove vie che non passino per il facile e semplicistico binomio emergenza/privazione.  E’ postivo invece il maggior controllo del territorio messo in campo dalla forze dell’ordine che in questo modo garantiscono al cittadino maggior sicurezza e scoraggiano episodi di microcriminalità. Il proibizionismo penso non sia la soluzione. E’ così negativo bere una birretta seduti su di una panchina con gli amici a parlare del più e del meno? Non mi sembra. E’ ovvio che andare in giro ubriachi a gettare alcool o bicchieri per le vie canicattinesi o a spaccare bottiglie di vetro in testa alla gente non è buona norma, ma questo è un altro discorso.

All’inizio del ‘900 negli Stati Uniti, il diffuso consumo di alcool nella popolazione, ed una tendenza tutta conservatrice spinta fino ad un eccessivo puritanesimo contro qualsiasi stile di vita letto come vizioso, portò alla storica decisione del divieto di “produrre, importare, esportare e vendere bevande alcoliche” così come era possibile leggere nel XVIII emendamento alla Costituzione Americana, creato alla bisogna.

Iniziò così, quello che fu definito il periodo del proibizionismo.Servì questa massima restrizione contro l’utilizzo degli alcolici a mantenere una linea di moderazione fra gli utilizzatori ed i produttori delle bevande incriminate? Assolutamente no.

Come accade sempre quando, piuttosto che fornire campagne d’informazione e di sensibilizzazione di massa, si generano atti coercitivi che spingono la gente a comportamenti esattamente opposti alla normativa restrittiva.

La popolazione americana infatti, piuttosto che aderire ad una regola che doveva tener tutti molto lontani dalla bottiglia e dall’abitudine generale ad alzare il gomito, si ingegnò in tutti i modi, creando ritrovi “segreti” ove poter attingere ai liquidi alcolici e dove le grandi organizzazioni criminose, trovarono affari sicuri e molto redditizi: nacquero così quelli che furono denominati “speak easy”, i bar clandestini dove fiumi di alcolici venivano versati e venduti ad ogni ora del giorno e della notte.

In circa quattro anni, il consumo medio pro capite crollò precipitosamente, ma i dati venivano dalle vendite bene o male controllabili e non certo da quelle reali che vivevano nel sottobosco delinquenziale e di una popolazione che in questo modo, si ribellava ad una regola imposta alla decisione di vivere nella sregolatezza.

E’ da sempre opinione comune che, quando si pongono limiti o divieti, la mente umana subisce una sorta di fascino del proibito, e si genera l’effetto opposto a quello desiderato. Nel periodo del proibizionismo statunitense, furono molti i casi di persone che non erano normalmente dedite al consumo di alcool che decisero di divenirne fautori per il solo fatto che, data la proibizione assoluta, il consumo di alcool assumeva uno spessore altamente desiderabile.

Per migliorare, invece del proibizionismo, occorre maggior senso civico, occorre denunciare i crimini ed isolare chi li commette, anche se talvolta la legge italiana sembra favorire proprio i delinquenti ma ritornerò su quest’argomento in un altro editoriale. Vivere qui nel profondo west della provincia di Agrigento è come vivere in tutti gli altri paesi civili del mondo ma ciò che spaventa è la non consapevolezza di vivere in luoghi dove la criminalità la fà da abitudine. A noi i piccoli o grandi crimini non fanno differenza,siamo troppo abituati a girarci dall’atra parte, facciamo finta di niente o peggio ancora non ce ne accorgiamo. E allora da domani, come direbbe Saviano, diventiamo tutti più osservatori!!!