Negli ultimi mesi ha tentato tre volte il suicidio in carcere, Salvatore Parla, il canicattinese condannato all’ergastolo per l’omicidio del giudice Rosario Livatino. Parla si trova nel carcere di massima sicurezza di Secondigliano, in Campania, una struttura all’altezza del suo calibro criminale, ma non adeguato, secondo la difesa, al suo stato di salute. Le condizioni del 62enne infatti dall’estate del 2005, dopo un intervento chirurgico, si sono aggravate gradualmente fino a costringerlo oggi su una sedia a rotelle. I vari disturbi psicofisici e il regime detentivo stanno facendo della permanenza in carcere di Parla un vero e proprio inferno. Il canicattinese condannato al massimo della pena al processo Livatino non chiede gli arresti domiciliari, ma solo di essere curato in una struttura penitenziaria ospedalizzata del Nord Italia. Al suo appello, nei mesi scorsi, si era unita la moglie scrivendo al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Dal Quirinale hanno risposto di aver avanzato la richiesta al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Al Dap oggi ha scritto anche la difesa di Parla, l’avvocato Giovanni Salvaggio ricostruendo l’involuzione del quadro clinico del suo assistito anche al Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, al magistrato di sorveglianza di Napoli, al direttore della Casa Circondariale di Secondigliano e al direttore sanitario del penitenziario. Parla si è sempre professato innocente e in primo grado i giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta gli avevano anche creduto assolvendolo del tutto. La condanna al carcere a vita arriverà però in appello e sarà confermata poi dalla Suprema Corte. Sei sono stati gli ergastoli inflitti complessivamente a mandanti ed esecutori del delitto costato la vita al giudice Rosario Livatino il 21 settembre del 1990. Senza scorta a bordo della sua Ford Fiesta, il magistrato canicattinese venne bloccato da un commando, mentre stava percorrendo la statale 640 per raggiungere il Tribunale di Agrigento. Il fatto di sangue che indignò l’Italia portava la firma della Stidda, la frangia criminale che si ribellò a Cosa Nostra tra gli anni Ottanta e Novanta in tutta la Sicilia. L’inchiesta che ne seguì svelò come la Germania fosse la base degli “stiddari”. Nella nazione tedesca Parla era conosciuto come un grosso imprenditore impegnato nell’export di gelati.