Organizzata dall’Osservatorio Nazionale Stalking, il Centro Presunti Autori e il Sindacato di Polizia Coisp, la campagna dedicata agli stalker partirà da Roma il 20 gennaio (in collaborazione con la Commissione Sicurezza del Comune di Roma) proseguendo nei giorni successivi nelle città di Cagliari (26 gennaio, in collaborazione con la Provincia di Cagliari e la Commissione Pari Opportunità) e Lucca (27/28 gennaio, sportello O.N.S patrocinato dalla Provincia, la Commissione Pari Opportunità e la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca). Durante i convegni verrà presentato il libro “Rifiuto Tossico. Stalker e trattamento: Prigione o Terapia?” (Massimo Lattanzi, 2011 – AIPC editore).
Perché non è solo NECESSARIO, ma assolutamente URGENTE lavorare con i presunti autori? L’Osservatorio Nazionale Stalking, antesignano nel sostenere la teoria relativa alla grave incompletezza del 612-bis, ha osservato una flessione del 25% nelle richieste d’aiuto da parte delle vittime. La sfiducia verso le autorità, congiuntamente alla paura di peggiorare la situazione e di non ricevere adeguata tutela, ostacola i propositi delle vittime di denunciare la situazione, decretando – di fatto – le gravi lacune della legge sullo stalking.
E allora, perché non è sufficiente la COERCIZIONE per fermare uno stalker?
I casi di cronaca – a corollario dei risultati delle ricerche svolte dall’O.N.S – hanno evidenziato numerosi episodi di recidiva nel reato di stalking: uno stalker su tre, dopo la denuncia e talvolta dopo la condanna, continua a perseguitare la vittima, spesso inasprendo la condotta persecutoria che non di rado sfocia nell’omicidio.
Lo stalker è spesso un individuo con serie difficoltà a gestire le relazioni interpersonali. Questo disagio non gli permette di elaborare ed accettare l’abbandono: nel momento in cui «sente di perdere» una persona importante, attiva automaticamente una serie di comportamenti orientati a mantenere un contatto «controllante» con la vittima e farla desistere dal proposito d’allontanamento. Queste azioni sono, per lo stalker, quasi «istintive» in quanto il distacco dalla persona “amata” risveglia violentemente dei dolorosi «ricordi emotivi» di un vissuto abbandonico celato nell’infanzia.
La denuncia fonda la sua efficacia sulla capacità cognitiva del persecutore di analizzare la situazione e prendere autonomamente consapevolezza dei suoi atti, ma è chiaro che lo stalker stesso, in buona parte dei casi, ha già perduto la capacità di mantenere un buon livello di contatto con la realtà quando si trova nell’ossessione di cercare assiduamente e morbosamente una vicinanza con la vittima.
Eí davvero possibile contare semplicemente sul buonsenso e sulla capacità analitica di una persona che, vivendo un forte disagio psicologico, ha perso parzialmente o completamente il contatto con la realtà?
La domanda non è certo retorica: senza un percorso di RECUPERO PSICOLOGICO dello stalker è impossibile arginare il problema dello stalking.
Le dinamiche che hanno originato il problema nel soggetto-stalker vengono semplicemente messe in STAND-BY. La detenzione in carcere o gli arresti domiciliari tengono il problema in sospeso, lasciando che ri-esploda con il ritorno in libertà dello stalker. Non è sufficiente fare ricorso alla giustizia punitiva, ma è necessario ed urgente corroborare quest’azione con la giustizia riparativa, altrimenti il ciclo della violenza NON SI CHIUDERA’ MAI.
Dal 2002 l’Osservatorio Nazionale Stalking aiuta le vittime con consulenze legali e psicologiche e dal 2007 è stato istituito il Centro Presunti Autori che si pone l’obiettivo di recuperare gli stalker con percorsi di psicoterapia mirati ad una presa di coscienza del problema e all’elaborazione di dolorosi vissuti personali non superati con un supporto specializzato coordinato da esperti. Tutto gratuito, naturalmente. I persecutori risocializzati, ad oggi, sono 120: il 40% ha raggiunto un completo contenimento degli atti persecutori, nel 25% dei casi si è verificata una significativa diminuzione dell’attività vessatoria, della recidiva e la prevenzione degli agiti più gravi. Questo ha permesso a tante vittime di uscire dall’incubo, laddove la legge e la coercizione non si sono rivelati sufficienti ad arginare una condotta che deriva da un disagio psicologico radicato nella personalità dello stalker.
ALCUNI CASI DI RECIDIVA
ß Torino, 30 giugno 2010. Gaetano De Carlo, 55 anni, uccide due sue ex fidanzate in una folle corsa che ha portato morte e follia da Torino a Cremona. Infine rivolge l’arma verso di sé, togliendosi la vita. Era stato denunciato per stalking 7 volte.
ß Roma, 14 agosto 2011: Stefano Suriano, pluridenunciato per stalking, viene ucciso a coltellate da Carlo Nanni, 63 anni, padre della vittima, esasperato dalle continue aggressioni e minacce che lo stalker indirizzava alla vittima, alla sorella e ai figli di quest’ultima. Dopo l’arresto, dichiara: «le abbiamo tentate tutte, ma lui continuava a torturarci».
ß Ferrara, 10 dicembre 2011. Un 46enne di Cento perseguita, dopo l’ennesima denuncia per stalking ai carabinieri di Renazzo, una coppia di fidanzati. Lo stalker era già stato denunciato dalle vittime e condannato a una pena di un anno e otto mesi.
ß Avellino, 9 marzo 2011. Un uomo di 37 anni viene denunciato dalla Questura per aver violato le prescrizioni impostegli dal Tribunale di Avellino, tra le quali il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima. Lo stalker, noncurante dei divieti e delle denunce continua imperterrito a molestare la donna.
Queste sono solo alcune delle drammatiche storie in cui si narra di stalker inarrestabili, ostinati, impermeabili a qualsiasi sorta di denuncia, ammonimento, richiamo.
Storie diverse, con un denominatore comune: il terrore dell’abbandono, la gelosia, l’incapacità di elaborare un rifiuto, un disagio psicologico che non si riesce a fronteggiare da soli e che non si può cancellare con una denuncia o un ammonimento.
Gli stalker erano già stati denunciati, eppure questa misura non è riuscita ad arrestare la loro condotta persecutoria. Il trend continuerà a rimanere lo stesso, replicando il medesimo epilogo, finché la legge non prevederà un percorso di risocializzazione per i presunti autori di stalking.
La «giustizia fatta in casa» è in aumento: la sfiducia verso la legge spinge la vittima di stalking ad organizzarsi autonomamente per far fronte alle vessazioni fisiche e psicologiche che non sa come gestire. In questo senso, la dichiarazione di Carlo Nanni che, preda dell’esasperazione, ha ucciso lo stalker di sua figlia, è tragicamente esemplificativa: «le abbiamo tentate tutte» (ma non siamo stati tutelati da nessuno).
RIFIUTO TOSSICO. STALKER E TRATTAMENTO: PRIGIONE O TERAPIA?
“Una famiglia è un posto in cui le anime vengono a contatto tra loro. Se si amano a vicenda, la casa sarà bella come un giardino di fiori. Ma se le anime perdono líarmonia tra loro, sarà come se una tempesta avesse distrutto quel giardino”Siddharta Gautama Buddha.
La conseguenza è visibile a tutti, ed è lo stalking; il tratto più evidente di un disegno di sofferenza e abbandono originariamente composto a matita, quasi invisibile, negli anni.
Lo stalker generalmente narra una storia di dolore spesso radicato in un’infanzia in cui l’unica arma di difesa dalle percezioni d’indifferenza è stata la feroce negazione dell’amore, cresciuta silenziosamente nel paradosso di un bisogno disperato di affetto.
La fragile personalità dello stalker si struttura a fatica sul sentore di essere vittima di un «rifiuto originale», il rifiuto supremo, quello delle figure di riferimento.
La ferita inferta nella tenera gioventù muta in una forma d’insicurezza cronica, che prelude ad un terrore dell’abbandono ossessivo e costante che troppo spesso finisce per evocare l’allontanamento delle persone amate, in quanto l’attaccamento dell’individuo che non ha esperito una forma sana di amore è l’attaccamento di un analfabeta delle emozioni, che per tutta la vita tenterà di instaurare rapporti duraturi senza esserne realmente capace.
Il comportamento ansioso e incapace di elaborare l’abbandono del bambino “rifiutato” tornerà prepotentemente ad insediarsi nella vita dell’individuo adulto nel momento in cui quest’ultimo sentirà di essere allontanato dalla persona oggetto del desiderio, portandolo a una regressione che lo costringerà a rimanere legato a doppio nodo all’ossessione della figura che gli negherà l’accudimento di cui sente di avere, da sempre, un disperato bisogno.
Qualsiasi abbandono in età adulta evocherà l’abbandono “sommo” percepito nelle fasi più delicate della crescita, annebbiando – di fatto – la capacità cognitiva del futuro stalker di rendersi autonomamente consapevole dell’insensatezza del suo comportamento nei confronti della figura idealizzata come quella del “salvatore”, una figura verso la quale proverà sentimenti contradditori ed ossessivi, volti al recupero del suo amore totalizzante o alla sua definitiva distruzione, spesso non solo simbolica.
Il secondo rifiuto viene da una famiglia assai più allargata: la società.
Ma qui le accezioni di “rifiuto” da considerare sono due: da un lato allo stalker viene negata–“rifiutata” la classificazione precisa in una tipologia di scarto incompatibile con la collettività, non permettendo così l’individuazione del corretto trattamento al quale dovrebbe essere sottoposto per non trasformarsi in un rifiuto tossico (altamente nocivo o mortale) per la società stessa, mentre dall’altro il rifiuto è da riferire alla percezione dello stalker che, dopo essersi auto-identificato come un emarginato nel suo stesso contesto famigliare, finisce per sentirsi rifiutato anche dal contesto sociale in cui è inserito, che – invece di investire risorse nella rieducazione sociale e sentimentale del reo – decide di destinarlo agli arresti domiciliari o al carcere, entrambi trattamenti inadeguati per il problema stalking (fenomeno sociale) e per il problema… dello stalker (soggetto deviante).
Il “rifiuto” umano viene abbandonato in un contesto in cui non è prevista alcuna attenzione per la componente psicologica, trasformandosi così in un rifiuto tossico una volta reinserito nella società. Il rifiuto tossico danneggia, avvelena, uccide.
La disattenzione per la matrice dello stalking, il mancato riconoscimento della natura del problema e le soluzioni sbrigative per disfarsene non portano ad alcuna soluzione se non ad un’imprevista e sgradevole non-soluzione che finisce per aumentare le difficoltà di porre un freno ad un fenomeno che colpisce oggi un italiano su cinque.
In questo libro, Massimo Lattanzi, presidente dell’Osservatorio Nazionale Stalking e psicologo-psicoterapeuta propone alcune soluzioni al complesso problema dello stalking, partendo proprio dalla constatazione che di stalking si parla tanto, ma si conosce davvero ancora molto poco. Se lo stalking è un problema per il quale ancora oggi non è stata “coniata” una soluzione adeguata, è perché non si è posta sufficiente attenzione verso lo studio serio e approfondito della materia, unico presupposto che potrebbe costituire un prologo al corretto trattamento dello stalking e dello stalker. Socrate lo disse più di duemila anni fa, e ancora oggi suona tristemente attuale: l’ignoranza è l’origine di tutti i mali. Anche dello stalking.
Protocollo operativo: come funziona il percorso di risocializzazione
Il protocollo integrato preventivo – riparativo è caratterizzato dal ricorso a strumenti che promuovono la riparazione degli “effetti perversi” della relazione conflittuale come la cessazione della comunicazione, forme di aggressività e violenza. La partecipazione della vittima offre la reale opportunità di riacquistare un elemento di controllo sulla propria vita, sul proprio senso di sicurezza e sulle proprie emozioni. Il modello, che si pone a favore delle vittime per offrire una riparazione concreta del danno derivante da un reato, ricerca modelli sanzionatori alternativi a quelli propriamente afflittivi, tenta di promuovere la risocializzazione del reo offrendo a quest’ultimo una reale possibilità di reintegrarsi nella comunità; la valenza riparativa e responsabilizzante può alleviare il senso di colpa o di ansia che altrimenti potrebbero condurre alla commissione di un nuovo reato.Il protocollo permette un reale riconoscimento della vittima che può riguadagnare il controllo sulla propria vita e sulle proprie emozioni, superando gradualmente il rancore ma anche di sfiducia verso l’autorità che avrebbe dovuto tutelarla. La premessa dell’acquisizione, da parte del reo, della consapevolezza dei contenuti lesivi della propria condotta è costituito dal riconoscimento della vittima che cessa di apparire come un oggetto impersonale per attuarsi a pieno titolo come persona, con il suo vissuto di sofferenza, di insicurezza, di umiliazione. Il protocollo preventivo – riparativo è orientato sia all’appagamento dei bisogni ed alla promozione del senso di sicurezza delle presunte vittime, sia alla responsabilizzazione ed alla presa in carico del presunto autore. Si realizza così il superamento del concetto di reato come mera violazione di una norma giuridica e l’accoglimento, invece, di una visione relazionale-sociale del fatto criminoso, che legga l’offesa come porzione di una più complessa relazione conflittuale. L’obiettivo sostanziale di questo approccio è la ricomposizione della frattura nella comunicazione interpersonale tra «presunto autore» e «presunta vittima» (tra le persone che condividono la peculiare espressione relazionale che è il conflitto) provocata dalla commissione del reato o dalle sue conseguenze. Questo approccio, figlio della Giustizia Riparativa, intende superare la logica della punizione partendo da una lettura relazionale del crimine, recepito come un conflitto che provoca la rottura di aspettative socialmente condivise.
Il protocollo si distingue sostanzialmente dagli altri, in quanto non persegue soluzioni unilaterali, in quanto «si prende cura» anziché «punire», ed è orientato all’appagamento dei bisogni delle presunte vittime, del presunto autore e della comunità dove viene vissuta l’esperienza di vittimizzazione.
L’alternativa tracciata dal protocollo prevede che al binomio reato-pena si contrapponga il binomio conflitto-riparazione, compiendo una ri-codificazione significativa del crimine, intesa come relazionale. Il reato ritorna come conflitto alle parti; il carattere punitivo della pena lascia il posto ad una prospettiva di riparazione del danno e di ripristino comunicativo tra «presunta vittima» e «presunto autore» del reato, attivando un processo di ricostruzione degli spazi di interazione. Spazi che presso l’Osservatorio Nazionale Stalking, l’Osservatorio Sicurezza e il recente Osservatorio Nazionale Violenza Psicologica sono gestiti dal gruppo di lavoro multidisciplinare di volontari esperti che offrono consulenze e percorsi gratuiti individuali, di coppia e familiari, con presa in carico preventiva essenzialmente nei casi di separazioni e gravidanze, applicando strumenti e strategie della psicologia del distacco © 2008 AIPC.
I dati sono assolutamente incoraggianti, dal 2009 il protocollo è stato applicato ad un campione di circa 300 persone, tra singoli, coppie e nuclei familiari, e ha permesso di prevenire atti violenti e persecutori, omicidi e suicidi. Il protocollo in oltre il 70% è risultato efficace ed efficiente, in oltre il 50% ha prevenuto comportamenti recidivi che sono frequentissimi nei casi di violenza psicologica e stalking.
CONCLUSIONI
In una società improntata ad una crescente insicurezza in tutti gli ambiti è sempre più difficile gestire le relazioni interpersonali prevenendone le complicazioni dovute alle percezioni abbandoniche. Il lavoro di cui si sente urgente necessità, e che l’Osservatorio Nazionale Stalking conduce da anni, deve consistere nell’accompagnamento delle persone coinvolte in atti persecutori nel difficile percorso della separazione e del distacco affettivo.
Non è sufficiente fare ricorso alla giustizia punitiva, ma corroborare quest’azione con la giustizia riparativa: le azioni moleste, violente, e lesive della libertà personale vanno condannate con fermezza, ma è imprescindibile un recupero delle persone sotto il profilo psicologico, in quanto gran parte degli stalker presenta una struttura di personalità patologica, che non permette loro di elaborare e superare un abbandono. Un intervento preventivo – ma anche in medias res – assicurerebbe il contenimento degli agiti più gravi, dalle minacce all’omicidio, che caratterizzano lo stalking, permettendo una risocializzazione dei presunti autori e un reinserimento nella società. Il successo di questa operazione, nelle percentuali sopra riportate, fa sperare in un futuro per tutti migliore, in cui il sopruso non si la norma, e il rispetto l’eccezione.
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LA RICERCA
Quanto è diffuso lo stalking in Italia? Da una ricerca di tipo epidemiologico condotta a livello nazionale su un campione di 9600 persone composto al 50% da uomini e al 50% da donne dai 17 agli 80 anni ed è emerso che circa una persona su cinque (il 20% della popolazione) ha subìto atti persecutori: il 70% delle vittime sono donne e il 30% sono uomini. Il persecutore è nel 55% dei casi un partner o ex partner, nel 5% un famigliare, nel 15% un collega o compagno di studi, e nel 25% un vicino di casa. E’ recidivo nel 30% dei casi. Questo significa che UNO STALKER SU TRE E’ RECIDIVO: DOPO LA DENUNCIA CONTINUA A PERSEGUITARE LA VITTIMA. Nel 70% dei casi la vittima presenta esiti psico-relazionali gravi.
Nella cartina la percentuale di incidenza dello stalking (vittime) per regione:
I RISULTATI DEL CENTRO PRESUNTI AUTORI
Dal 2007, l’Osservatorio Nazionale Stalking, associazione di volontariato che opera su Roma e in diversi centri sul territorio nazionale, ha istituito il Centro Presunti Autori, il cui obiettivo è quello di segnalare a tutte le persone che si trovano a mettere in pratica agiti persecutori la possibilità di uscire dalla condizione di persecutore grazie ad una presa di coscienza del problema e ad un supporto psicologico specializzato coordinato da esperti.
Il percorso è gratuito, e 120 stalker sono già stati risocializzati lasciando intravedere alle proprie vittime lo spiraglio di una speranza: quella di vivere una vita normale. Il protocollo ha prodotto una serie di dati incoraggianti: il 40% degli stalker ha raggiunto un completo contenimento degli atti persecutori, mentre nel 25% dei casi si è verificata una significativa diminuzione dell’attività vessatoria, della recidiva, e la prevenzione degli agiti più gravi.
ALCUNI CASI DELL’ANNO 2011
ß Roma, 14 agosto 2011: Stefano Suriano, pluridenunciato per stalking, viene ucciso a coltellate da Carlo Nanni, 63 anni, padre della vittima, esasperato dalle continue aggressioni e minacce che lo stalker indirizzava alla vittima, alla sorella e ai suoi figli. Dopo l’arresto, dichiara: «le abbiamo tentate tutte, ma lui continuava a torturarci».
ß Trieste, 27 agosto 2011: Giuseppe Console, 23 anni, denunciato per stalking dall’ex moglie, uccide il coetaneo Giovanni Novacco, convinto del fatto che quest’ultimo avesse allacciato recentemente una relazione con la sua ex compagna.
ß Roma, 30 luglio 2011: Bernardino Budroni viene ucciso dalla polizia dopo un folle inseguimento sul Grande Raccordo Anulare; si era presentato per l’ennesima volta a casa della ex fidanzata con una pistola a salve tentando di sfondare il portone e di aggredirla.
ß Desio (MB), 29 agosto 2011: Giovanni Avogadro, 31 anni, non riesce ad accettare la separazione dalla sua ex fidanzata, Valeria Mariani, 27 anni, così la uccide con sette colpi di pistola prima di togliersi la vita.
E’ impossibile elencare tutti i casi di stalking, così come gli omicidi-suicidi: solo ad agosto ci sono stati altri tre casi a Casalpusterlengo (Lo), Tesimo (Bz), Celano (Aq).
Storie diverse, con un denominatore comune: la paura dell’abbandono, la gelosia, l’incapacità di elaborare un rifiuto, un disagio psicologico che non si riesce a fronteggiare da soli e che non si può cancellare con una denuncia o un ammonimento. Eppure la legge non prevede un percorso di risocializzazione per i presunti autori di stalking.
La «giustizia fatta in casa» è in aumento: la sfiducia verso la legge spinge la vittima di stalking ad organizzarsi autonomamente per far fronte alle vessazioni fisiche e psicologiche che non sa come gestire. In questo senso, la dichiarazione di Carlo Nanni che, preda dell’esasperazione, ha ucciso lo stalker di sua figlia, è tragicamente esemplificativa: «le abbiamo tentate tutte» (ma non siamo stati tutelati da nessuno).
CONTESTI DELLO STALKING
Per quanto riguarda gli stalker, il 20% soffre di un disturbo di personalità, mentre solo il 5% soffre di una psicopatologia grave, con totale perdita di contatto con la realtà. Il 70% presenta una rigidità nelle relazioni, che si traduce in una difficoltà di gestione delle relazioni interpersonali. Questo fenomeno è riconducibile ad uno stile di attaccamento insicuro, evitante e ambivalente. Spesso sono soggetti insospettabili: funzionano bene nella società e mantengono un buon contatto con la realtà, ma sono dei manipolatori e bugiardi patologici. La violenza psicologica che attuano ai danni della vittima inizia in tempi insospettabili e sfocia nello stalking nel momento in cui quest’ultima decide di abbandonare la relazione.
Il 20 % degli omicidi ha avuto come prologo atti di stalking.
UN RITRATTO DEL PERSECUTORE
Stalker
Lo stalker è un individuo che non è in grado di elaborare ed accettare l’abbandono: nel momento in cui «sente di perdere» una persona importante, attiva automaticamente una serie di comportamenti orientati a mantenere un contatto «controllante» con la vittima e farla desistere dal proposito d’allontanamento. Queste azioni sono, per lo stalker, quasi «istintive» in quanto il distacco dalla persona “amata” risveglia violentemente dei dolorosi «ricordi emotivi» di un vissuto abbandonico celato nell’infanzia. La denuncia fonda la sua efficacia sulla capacità cognitiva del persecutore di analizzare la situazione e prendere autonomamente consapevolezza dei suoi atti, ma è chiaro che lo stalker stesso, in buona parte dei casi, ha già perduto la capacità di mantenere un buon livello di contatto con la realtà quando si trova nell’ossessione di ritrovare una vicinanza con la vittima. E’ davvero possibile contare semplicemente sul buonsenso e sulla capacità analitica di una persona che, vivendo un forte disagio psicologico, ha perso parzialmente o completamente il contatto con la realtà? Proprio per la sua struttura di personalità, lo stalker «legge» la denuncia come un’ulteriore «provocazione» da parte della vittima, e spesso questo causa un’esplosione di violenza incontrollabile che porta all’omicidio o all’omicidio-suicidio; un percorso di psicoterapia potrebbe, invece, aiutare concretamente lo stalker a prendere coscienza delle proprie azioni – lesive della libertà altrui – e superare il disagio che lo spinge a instaurare relazioni di dipendenza affettiva. Senza questa fondamentale premessa è impossibile diminuire la recidiva e fronteggiare adeguatamente lo stalking.
MENO RICHIESTE D’AIUTO E MENO INTENZIONE DI DENUNCIARE
Da gennaio 2010 a gennaio 2011 l’Osservatorio Nazionale Stalking. ha registrato una flessione del 25% nelle richieste d’aiuto: inoltre, le persone che ci hanno contattato hanno dichiarato di non avere intenzione di denunciare il persecutore. Le motivazioni che le vittime adducono per la mancata denuncia sono sostanzialmente di tre tipi: la sfiducia verso le autorità (nessuna garanzia di sicurezza o protezione dopo la denuncia), la paura di peggiorare la situazione persecutoria e il fatto di voler aiutare il presunto autore senza farlo condannare, dato nel 90% circa è un conoscente o un familiare. Gli ultimi casi di cronaca lasciano trasparire messaggi chiari ed inquietanti: uno stalker su tre, dopo la denuncia e, talvolta, dopo la condanna, continua a perseguitare la vittima, sovente con maggiore intensità, violenza e frequenza. Non è raro che si arrivi all’omicidio.
PREVENIRE E “SEGUIRE” IL PERSECUTORE: UNICA SPERANZA PER CONTRASTARE LA CRESCITA INNARESTABILE DELLO STALKING E DELLA VIOLENZA
La prevenzione e un percorso di risocializzazione orientato al presunto autore sono necessari. In mancanza di queste premesse, il fenomeno dello stalking continuerà a crescere in violenza ed intensità. Purtroppo questa realtà è già ravvisabile nell’aumento degli omicidi preceduti da vessazioni psicologiche. Il percorso di risocializzazione coordinato da esperti e psicologi è orientato a
«favorire la consapevolezza che determinate azioni arrecano danno e paura e, quindi, nell’assunzione di responsabilità di queste azioni. Lavoriamo su questo rimosso di profondo dolore e rabbia radicato da anni» (Massimo Lattanzi, psicoterapeuta – presidente ONS).
Non è possibile aiutare la vittima di stalking finché non si agisce sul persecutore
MANCA IL PATROCINIO GRATUITO PER TUTTI, LE ISTITUZIONI SONO ASSENTI
La vittima di stalking che decide di denunciare deve farsi carico delle spese legali. La mancanza del patrocinio gratuito PER TUTTE LE VITTIME (indipendentemente dal reddito) è una gravissima pecca del 612-bis. Alla difficoltà di denunciare lo stalker, spesso un familiare o un conoscente della vittima, si aggiunge la difficoltà a far fronte alle spese legali. Anche questo fattore concorre nel limitare il numero delle denunce. Ma ci sono altri fattori: primo su tutti, la lentezza della pena. Tra la denuncia e l’eventuale condanna passa troppo tempo e la vittima viene lasciata sola dalle istituzioni che dovrebbero tutelarla, rimanendo quindi esposta all’escalation degli atti persecutori che, come già detto, spesso piuttosto di subire un’interruzione, aumentano d’intensità. Alcune vittime tentano il suicidio, molte si sentono isolate.
La vittima
UN CORTOMETRAGGIO SULLO STALKING, A CURA DI MASSIMO TERRANOVA.
Per far comprendere anche ai più giovani quanto sia importante lavorare sulla prevenzione e sulla risocializzazione per i presunti autori, è stato realizzato un cortometraggio che narra le storie di due stalker che acquisiscono consapevolezza della loro condizione e decidono di seguire un percorso specifico per “liberare la loro vita e quella altrui” dal dramma dello stalking.
COME LA SOCIETA’ GESTISCE LO STALKER, E COME POTREBBE “RICICLARLO”.
IPOTESI AL LIMITE DELLA PROVOCAZIONE, IN UN LIBRO DEL PRESIDENTE O.N.S.
RIFIUTO TOSSICO a cura di Massimo Lattanzi, AIPC Editore, Roma 2011.
Stalker e Trattamento: prigione o terapia? Una pubblicazione fuori dagli schemi che narra oltre ai dati e alla letteratura specifica il vissuto condiviso da molti presunti autori, quello di rifiuto tossico! Il doppio vissuto di rifiuto. Il primo è quello che spesso è la matrice degli atti persecutori, il secondo, spesso condiviso con i familiari, è quello di dover essere smaltito nel minor tempo possibile senza preoccuparsi della reale validità della filiera dello smaltimento!
IntroduzioneGli stalker come i rifiuti. Come gestione dei rifiuti si intende l’insieme delle politiche volte a gestire l’intero processo dei rifiuti, dalla loro produzione fino alla loro sorte finale, coinvolgendo la raccolta, il trasporto e il trattamento (il riciclaggio o lo smaltimento). Per riciclaggio dei rifiuti si intende l’insieme di strategie volte a recuperare i rifiuti. Il riciclaggio è un concetto chiave nel trattamento dei rifiuti. In Italia lo smaltimento in discarica è ancora il principale metodo di eliminazione dei rifiuti, in quanto è semplice ed economico. I rifiuti possono definirsi come qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi; indipendentemente dal fatto che possa essere oggetto di riciclaggio. Cosi come per gli stalker si adotta o un semplice abbandono di rifiuti come gli “arresti domiciliari” o si destinano ad una discarica “la prigione”. Non si vuol pensare alla produzione (la matrice) ad una reale prevenzione tanto meno al trattamento (percorsi di ri-socializzazione). La produzione degli stalker può essere spiegata dall’epigenetica…
DEFINIZIONE DEL FENOMENO
Lo Stalking è una manifestazione violenta essenzialmente psicologica e trasversale che può interessare tutte le relazioni interpersonali; si manifesta come un insieme di molestie essenzialmente psicologiche che si esplicano con comportamenti persecutori, atteggiamenti minacciosi e di controllo nei confronti di una o più persone. Tali agiti generano nella vittima paura, ansia e preoccupazione, ne violano la privacy e possono rappresentare un pericolo per l’incolumità personale. Lo stalking comprende vasto campionario psico comportamentale che identifica intrusioni costanti nella vita pubblica e privata di una o più persone. Tali intrusioni incutono paura e procurano esiti psicologici e relazionali gravi. Può nascere come complicazione di una qualsiasi relazione (O.N.S. 2002). Il campionario, psico-comportamentale dello stalker può spaziare dall’invio di sms, e-mail, fiori e regali non graditi a continue telefonate, appostamenti, pedinamenti, danneggiamenti e molto altro. Le dinamiche dello Stalking sono assolutamente peculiari, non possono essere accomunate ad altre manifestazioni violente. Spesso è lo Stalking ad essere la matrice di molte espressioni della violenza (Lattanzi, 2003).
PROFILO PSICOLOGICO DELLO STALKER
Lo stalker non è in grado di elaborare ed accettare l’abbandono: alcune persone, senza distinzioni di sesso, età, cultura e status sociale – infatti – per innumerevoli variabili di tipo bio-socio-psicologico hanno strutturato una particolare sensibilità prima che nelle risposte psico-comportamentali, socialmente inaccettabili, nelle attività dei circuiti sottocorticali coinvolti nel distacco. Quando “sentono di perdere” o perdono realmente una persona importante, si attiverebbero in modo “immediato” i circuiti su menzionati come se vivessero la perdita come una perdita di una parte di loro, di momenti importanti che loro avrebbero organizzato e che altrimenti non si sarebbero potuti vivere! Queste attività comportano un impegno ed un dispendio di energie che è ricompensato con il distacco o il rifiuto. Si attiverebbero fenomeni bio-psicologici associati al rifiuto, come la “reazione di protesta”, la “frustrazione-attrazione”, la “rabbia da abbandono” e il “controllo del partner”, che si manifestano con la tipica organizzazione di personalità borderline del presunto stalker (Lattanzi, 2007).
Le persone che agiscono gli atti persecutori, in qualche modo, non possono fare a meno di riempire di attenzioni e coccole le persone oggetto del loro interesse, con sorprese, regali, organizzazione di serate, scelta di regali, contatti telefonici, invio di sms e mail che, anche in tempi non sospetti, occupano in modo più o meno consapevole buona parte delle ventiquattro ore, come se avessero acquisito e con il tempo consolidato un insieme di condotte psico comportamentali istintive ogni volta che strutturano una relazione “importante” e che non possono rischiare di perdere. (Lattanzi, 2009)
Tali condotte subiscono una brusca accelerazione in termini di frequenza ed intensità quando sentono, vivono, o solo immaginano che la persona oggetto di interesse stia per distaccarsi da loro o comunque si stia attenuando la profondità dell’interesse. Come se avessero una sorta di “interesserometro”, quando l’indicatore arriva al livello di guardia, le condotte di controllo travestite da coccole ed attenzioni si intensificano sino a quando l’indicatore supererà di molto il livello di emergenza. Le persone oggetto di interesse sono l’estensione e spesso la loro stessa vita e, nel momento del distacco, è come se le attività utili a garantire le gratificazioni esistenziali e ad evitare il contatto con il senso di vuoto ed abbandono, non più attivabili, lascino spazio a pensieri ed emozioni ingestibili. Gli stalker, in questa fase, istintivamente, non possono fare a meno di attivare soluzioni “creative” che uniscano la possibilità di mantenere comunque un contatto con la persona oggetto di interesse ed evitare il contatto dolorosissimo con il senso di vuoto e abbandono. Gli atti persecutori, quindi, rappresentano un connubio perfetto per sedare le ansie e per continuare a controllare/contattare la persona oggetto di interesse. (Lattanzi, 2009)
E’ stato possibile identificare nell’80% del campione delle persone che agiscono comportamenti molesti e violenti il Colpo d’Abbandono Improvviso, C. A. I. (Lattanzi, 2007). E’ come se, da quell’istante, che cambierà per sempre la loro esistenza, prendessero coscienza da una frase, un gesto o da una semplice sensazione che stanno per essere lasciate o abbandonate, comunque che stanno perdendo il “controllo” della relazione. Lo descrivono come uno tsunami emotivo affettivo, che cancellerà la loro “precedente” vita. Da quel preciso momento, i valori, gli obiettivi e gli affetti precedenti, non esistono più. Non possono fare a meno di agire una raccolta di comportamenti predominanti, predisposti a manifestarsi in tutta la loro forza e autorità. Come se questi atteggiamenti fossero stati appresi nelle primissime relazioni e forse in maniera inconsapevole affinati, una sorta di borsa del pronto soccorso relazionale nelle circostanze “avverse” (Lattanzi, 2007). Le motivazioni si modificano, si incrociano e si autoalimentano nel tempo. Si parte dal bisogno di verificare l’ipotesi della separazione/abbandono, per passare poi a comprovare il loro infinito amore e persuadere l’altra persona ad abbandonare l’ingiusta scelta, fino alla condivisione/proiezione delle emozioni negative (Lattanzi, 2007).
SINDROME DA ECLISSAMENTO INATTESO
Molti stalker riferiscono di aver vissuto come un eclissamento inatteso la fine della loro relazione.
E’ possibile riscontrare la Sindrome dell’Eclissamento Inatteso nella fase del distacco nelle relazioni interpersonali (amicali, affettive, lavorative, di vicinato, ecc.): è la modalità che spesso prelude agli atti persecutori. L’eclissi di una relazione, come nell’evento astronomico, avviene quando nella vita di una persona entra in modo repentino un altro fattore, ad esempio una nuova conoscenza, una decisione, un’emozione che si manifesta e si vive così intensamente da oscurare la relazione preesistente. (Lattanzi, 2009)
Questa situazione produce un distacco inaspettato ed insopportabile e proietta l’altro in un cono d’ombra, una situazione di buio non così determinato e determinabile come quello astronomico.
L’Eclissamento Inatteso spesso non invia segnali evidenti, è unidirezionale e porta ad un distacco colmo di sospesi. Tali sospesi possono generare il Colpo di Abbandono Improvviso nella persona che subisce l’eclissamento. (Lattanzi, 2009)
Nel nutrito campione di persone, presunte vittime di atti persecutori, (la ricerca non è conclusa), una percentuale significativa, circa il 50%, ha riconosciuto di aver chiuso o tentato di chiudere una relazione affettiva, sentimentale, amicale o professionale con queste modalità. (O.N.S., 2009)
Le motivazioni ricorrenti sono:
• allontanarsi il più possibile dalla persona che potrebbe altrimenti ri-convincerla a restare,
• non riuscire a comunicare le ragioni della separazione,
• allontanarsi dall’altra persona che ha un ascendente molto forte,
• gli altri tentativi non sono andati a buon fine,
• una decisa separazione, ultima possibilità di libertà e ri-nascita!
Nel campione delle persone presunti autori, oltre l’80% dichiara di aver “subito” il doloroso percorso dell’Eclissamento Inatteso che li ha portati ad entrare in contatto con il loro “lato oscuro” pieno di frustrazione, dolore, paure, vuoto, rancore ed odio.
Il lato oscuro genera in queste persone un’energia predominante che gestisce in maniera assoluta la loro esistenza: in altre parole, non possono fare a meno di pensare, contattare e controllare la persona che ha originato tale “tsunami esistenziale”, come se controllando la presunta causa della perdita di controllo, l’altra persona, sperassero di recuperare il loro equilibrio perduto. (Lattanzi, 2009)
Un particolare significato è dato, nelle narrazioni dei presunti autori, alla percezione del cono d’ombra proiettato su di loro dall’altra persona, la stessa che prima proiettava solo luce “vitale”.
Tale cambio di “luci” produce nelle persone una rabbia travolgente che proiettano sull’altro, percepito come “responsabile”, comunque, sia del loro disagio che del loro benessere. (Lattanzi, 2009)
Video:
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