Riflessione e speranza guideranno l’anno della fede che per la diocesi agrigentina si è aperto ufficialmente, ieri pomeriggio, per chiudersi il 24 novembre del 2013. Un tema che oggi appare abbastanza delicato: parlare di fede in un momento difficile per l’umanità. L’anno della fede, dunque, per la nostra diocesi sarà un tempo utile per riflettere sul legame con Dio a livello personale e comunitario e per tentare di dare delle risposte alla crisi della fede che oggi è largamente diffusa.Di fede, speranza e riflessione, don Franco ha parlato ieri pomeriggio nella chiesa S. Domenico, di Agrigento, dove sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, responsabili di gruppi, movimenti e associazioni si sono ritrovati per l’apertura del particolare anno con solenne concelebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Montenegro. Di seguito riportiamo l’omelia del pastore della chiesa agrigentina:“Io sono persuaso che né morte, né vita … né presente né av-venire … né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’ amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore”.

Questa ferma convinzione dell’apostolo Paolo, appena ascoltata, raccoglie i motivi fondamentali del nostro ritrovarci oggi per l’apertura diocesana dell’anno della fede e il 25° anniversario della canonizzazione di S. Giacinto Giordano Ansalone.


“Nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù!”. Tradotte in positivo queste parole vogliono dire che la nostra identità è di essere immersi nell’amore Trinitario. Ed è dentro questa realtà che vorrei ci sentissimo tutti, noi qui presenti e, idealmente, i cristiani della nostra diocesi: sprofondati nell’amore di Dio!

L’anno della fede, da qualche giorno iniziato, è un tempo propizio per riscoprire che Dio ci ama tanto da intrecciare la Sua storia con la nostra. Il punto di partenza di ogni itinerario di fede è l’accoglienza di tale verità: Dio ci ama! È grazie a quest’amore che ci si mette in cammino, si annuncia, si testi-monia, si lotta, si ricomincia, si affrontano le sfide, si accetta il fallimento, si giustificano le gioie, si dà la vita … Tutto per amore di Dio, tutto dall’amore di Dio.

“Ti amo Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortez-za, mio liberatore, mio Dio, mio scudo, mia potente sal-vezza”. Le parole del Salmista diventino nostre, divengano la professione sincera della nostra fede.

Le letture ascoltate ci aiutano a comprendere cosa voglia dire “credere”, quali sono gli elementi essenziali che ci uniscono a Dio, dove ci conduce la vera fede.

La prima lettura ci ha offerto il punto di partenza. Al popolo, giunto a pochi passi della terra promessa, Mosè, offre le con-dizioni per essere felici e per rimanere a lungo nel luogo pre-parato loro dal Signore. “Ascolta, Israele: il Signore è il no-stro Dio, unico è il Signore … Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”. La fede, sembra dirci Mosè, nasce dall’ascolto. Ma quale ascolto? Nel libro dell’Esodo troviamo per la prima volta questo verbo, che non è riferito al popolo o all’uomo, bensì a Dio: “Gli israeliti alzarono il loro grido di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza, guardò la condizione degli israeliti, Dio se ne prese pensiero”.

Dio ascolta il popolo sofferente, e tale ascolto si fa amore operativo. Fede è scoprire che Dio ci ascolta, è ascoltare Lui che ci ascolta. È amare Lui che ci ama. È muoversi verso di Lui che è in cammino verso di noi.

S. Agostino – lo ricorda la Dei Verbum – afferma che l’ annunzio della salvezza è la condizione perché il mondo ascoltando creda, credendo speri e sperando ami. La fede, la speranza e la carità muovono i loro passi dall’ascolto di Dio. Già Mosè unisce l’ascolto con l’amore: “Tu amerai con tutto il cuore”. La fede nasce dall’ascolto e conduce all’amore pieno. L’ascolto dilata il cuore, ne spalanca le porte, crea spazi nuovi, rende possibile l’ingresso di Dio. Quando Dio entra, allora non si può non amarLo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze. Fede e amore, così, si richiamano a vicenda fino a diventare un’unica cosa.

L’anno della fede ci può aiutare a rimettere Dio al centro della nostra vita; non solo a conoscerLo di più ma ad amarlo con tutto noi stessi.

È vero, viviamo in tempi non facili e il peccato della superfi-cialità o della mediocrità rischia di entrare nei nostri ambienti. Oggi se non si nega Dio Lo si emargina, Lo si mette alla pari di tante altre cose fino a non considerarLo importante e fondamentale.

Reagiamo a questa tentazione rimettendo al centro Dio, la Sua Parola, la Sua presenza, la Sua grazia. Al centro della vita parrocchiale, dei gruppi, delle scelte pastorali, della catechesi, della missione … Il Papa ci ricorda spesso, che non è la stessa cosa con Lui o senza di Lui. Ecco perché l’unica via d’uscita è ritornare a Dio con tutto il cuore.

Non è un cammino facile. Anzi.

Paolo ci ha ricordato che il nostro legame con Dio è messo a dura prova dalle difficoltà della vita. L’ha fatto raccontando la sua esperienza di fede: tribolazioni, angosce, persecuzioni, fame, nudità, pericoli …

Questo per dire che la fede non è una lezione da imparare, nè una favola per addormentare i bambini; la fede è rischio, è prova, è persecuzione, è lotta.

Quando, per esempio, la sofferenza bussa alla nostra vita, ci chiediamo: perché, se credo in Dio, mi capita questo? La pro-va, così, diventa pietra d’inciampo e ostacolo della nostra fede. Dobbiamo, invece, aprirci a una dimensione di fede “crocifissa”; di una fede che non è in lotta contro il dolore ma che lo sostiene; che si spende, soprattutto dentro la fatica del vivere quotidiano. L’essere aggrappati a Dio, ci aiuta a stare dentro il deserto delle sofferenze, consapevoli – come dice Paolo – che in tutte queste cose noi siamo più che vincitori in virtù di Colui che ci ha amati e che niente potrà mai separarci dall’amore di Dio.

Questo significa che la fede è un eterno abbraccio tra Dio e noi e tra noi e Lui. Lui ci tende la mano, si avvicina, ci invita a un atto di fiducia e se noi stringiamo la Sua mano possiamo stare tranquilli perché nella tempesta Lui non ci abbandona, nella sofferenza non ci lascia soli e nel deserto cammina con noi. “Dio soffre con chi soffre” amava dire Carlo Carretto.

Abbiamo scelto di vivere questa celebrazione mettendoci da-vanti la figura straordinaria di S. Giacinto Giordano Ansalone. Un giovane della nostra terra, di S. Stefano Quisquina, che è stato proprio qui, in questa Chiesa di S. Domenico e nel Convento annesso, prima di andare in Spagna e poi in Oriente dove è stato ucciso a causa della sua fede. Aveva grande forza d’animo e capacità di affrontare anche la persecuzione per il Vangelo. Tanto da decidere di andare in Oriente quando alcuni suoi amici lì erano stati uccisi a causa della predicazione. Quello di s. Giacinto è un insegnamento valido anche per noi; viviamo un tempo difficilissimo: mancanza di lavoro, disperazione in tante famiglie, preoccupazioni per i giovani … A volte ci sentiamo schiacciati da tutto ciò e abbiamo difficoltà a vivere la fede dentro uno scenario così grigio. Ma è proprio questo l’aspetto più misterioso e più forte della fede: abbandonarsi in Dio, no-nostante, il Suo silenzio!

La fede è abbandono in Lui. Come Gesù che sulla Croce si è abbandonato al Padre: “Padre, nelle tue mani consegno la mia vita”. L’ha fatto mentre il corpo sfigurato cedeva, tutti lo deridevano e ogni certezza umana lo abbandonava. Questa è la Sua vittoria e questa sarà anche la nostra vittoria. Dobbiamo allenarci quotidianamente a vivere così la nostra fede. Dalle braccia di Dio prenderemo forza per le nostre braccia, dall’accoglienza della sua volontà troveremo determinazione per la nostra volontà di bene.

E così, arriviamo all’ultimo aspetto della fede che le letture ci hanno mostrato: la fede nasce dall’ascolto, la fede è abbandono in Dio, la fede vive di testimonianza. Gesù ci avverte di cosa attende coloro che Lo annunciano. Ebbene questi pericoli sono occasione per rendere testimonianza. La fede, quando è matura, è come il frutto di un albero: deve essere sbucciato perché si possa mangiare. Sbucciare un frutto è usargli violenza, spogliarlo di ciò che lo protegge. Ma ciò è necessario se il frutto vuole essere nutrimento. Questa è la condizione del cristiano oggi: è ‘doc’ se dà testimonianza!

A questo proposito il Concilio, nella GS, ricorda che la Chiesa deve “rendere presente e quasi visibile” la Trinità. “Ciò si otterrà con la testimonianza di una fede viva e matura”, capace “di guardare in faccia con lucidità le difficoltà per superarle” (21).

L’anno della fede è invito a riscoprire il bisogno di una testi-monianza credibile che passa attraverso le opere di bene, l’amore fraterno, l’attenzione ai poveri, la promozione della giustizia, l’adempimento del proprio dovere, la ricerca del bene comune. Nonostante tanti cristiani siano inseriti nella vita sociale, economica, politica, amministrativa, assistiamo a un degrado preoccupante. Chiediamoci: se ogni cristiano facesse bene il proprio dovere, testimoniando dove si trova la propria fede … saremmo forse a questo punto?

Testimone è chi dà la vita per il Vangelo, come S. Giacinto Giordano, e chi crede che il Vangelo è l’unica via di salvezza per l’uomo di oggi.

Testimoni e martiri siamo chiamati ad essere tutti là dove vi-viamo e operiamo. Testimoni perchè capaci di andare contro corrente, di dire di “no” al compromesso, alle mezze misure, alle scelte accomodanti, ai ricatti, alle promesse che ci tol-gono la libertà, alle logiche clientelari e mafiose, all’omertà che diventa complicità, a ogni forma di ingiustizia. E questo anche a costo della vita, senza esitazione. Come Rosario Livatino e come Padre Puglisi. Questa nostra terra oggi ha bisogno di testimoni, d’insegnanti, di genitori, di giovani, di lavoratori, di professionisti, di politici, di vescovi, di sacerdoti, di cristiani … testimoni, che fanno ciò che dicono, che vivono ciò che professano, che danno l’esempio di ciò che annunciano.

Questo cammino che la fede ci suggerisce facciamolo tutti in-sieme. Insieme ai santi della nostra terra che, durante quest’ anno vorremmo conoscere un po’ meglio, insieme a Maria, donna di fede, che ha accolto Dio nel suo cuore prima ancora che nel suo grembo, e che a Lui è rimasta sempre unita, anche sotto la croce, testimoniando la sua fede con umiltà e coraggio”.