Quotidianamente ognuno di noi è chiamato a fare delle scelte che condizionano nel bene o nel male le nostre esistenze.

Quando il peso di queste scelte influisce sullo svolgimento della vita democratica di intere comunità e nazioni il discorso diventa particolarmente complicato e difficile da gestire.


I cittadini, organizzati in gruppi che nelle normali democrazie sono i partiti politici, scelgono i loro rappresentanti tramite le consultazioni elettorali.

Questo meccanismo rappresentativo presuppone che si debba necessariamente instaurare un rapporto fiduciario tra l’elettore e l’eletto che affida al suo politico di riferimento il compito di governare le istituzioni dello stato secondo principi di buon senso e bene collettivo.

Purtroppo le scelte di questi politici non sono sempre felici, come dimostra l’attuale situazione economica in cui versa l’Unione Europea.

Il rigorismo imposto dalla cancelliera tedesca Angela Merkel produce effetti nefasti sull’economia dell’Unione e ha innescato una drastica contrazione dei consumi delle famiglie che a lungo andare alimenta ancor di più la spirale recessiva ed il credit crunch.

Questa politica monetaria è sbagliata e non crea nessuna prospettiva occupazionale.

I dati sono impietosi; l’Europa non riparte, le aziende sono in profonda crisi e non si crea nuova occupazione ormai da anni.

I consumi delle famiglie sono crollati e i dati riportano gli indici indietro di almeno vent’anni.

La situazione negli Stati Uniti è ben diversa.

La FED ha portato a zero il costo del denaro programmando massicce iniezioni di liquido nel sistema che hanno fatto ripartire lentamente i consumi delle famiglie che sono il vero motore dell’economia di una nazione.

Negli USA i dati sull’occupazione parlano di 150.000 unità lavorative che vengono riassorbite dal sistema ogni mese, a dire il vero non sono poi così tanti infatti il dato nazionale sulla disoccupazione è ancora alto ma l’inversione di tendenza è innegabile.

Nell’ultimo trimestre il dato è sceso di quasi un punto percentuale attestandosi al 7,8%.

La ripresa è debole ma c’è, quindi adesso bisogna evitare assolutamente che venga insabbiata da politiche di austerity come quella europea.

Lo sanno bene quelli della FED e lo sanno bene anche a Washington gli specialisti dello staff di Barack Obama che indirizzano le scelte di politica economica del Presidente che nell’ultimo periodo lavora febbrilmente ad un pacchetto di misure per evitare le strettoie del “fiscal cliff” che avrebbe l’effetto di riportare gli USA in recessione con conseguenze negative ovviamente anche per L’Europa.

Il governatore della BCE Mario Draghi è stato il primo ad intuire che questa politica economica fatta di eccessivo rigore e tagli deprime l’economia reale e allunga a dismisura i tempi della ripresa e fin dal suo insediamento presso la BCE ha cercato di porre in essere una serie di misure e di scelte che vanno ad orientare i governi nazionali verso una politica diversa e meno rigorista, più improntata alla ripresa dei consumi e all’allentamento del credit crunch da parte delle banche nei confronti delle nostre aziende.

Federico Rampini ha esaminato la situazione con lucidità in un articolo pubblicato su Repubblica venerdì 11 gennaio da cui sono stati estrapolati i dati che abbiamo evidenziato.

Il lungo articolo di Rampini si intitola “L’Europa prova la ricetta americana, basta austerity, è l’ora dello sviluppo” ed è molto interessante non tanto per la precisa e dettagliata disamina dal punto di vista dei dati macroeconomici analizzati quanto dal punto di vista delle riflessioni sul percorso intrapreso dai politici dell’unione guidati da un lungimirante Mario Draghi che forse, ci auguriamo, verrà ricordato come l’uomo che ha dato la sveglia ad un’ Europa stanca, vecchia e rassegnata ad una fine ingloriosa.

Vincenzo Sciabica