«Il fatto non sussiste»: è esclusa la diffamazione a carico della parte del processo civile che in udienza dà del «pezzente» all’avversario. E ciò perché da una parte il contesto è di per sé conflittuale e dall’altra perché l’esclamazione risulta occasionale: non si capisce come il vocabolo isolato, pronunciato al di fuori di un ampio e articolato discorso, possa di per sé incidere sulla reputazione del destinatario, intesa come patrimonio di stima, di fiducia e di credito accumulato dal singolo nella società. È quanto emerge dalla sentenza 25026/24 pubblicata il 25 giugno 2024 dalla quinta sezione penale della Cassazione. Ad avviso dei giudici di legittimità, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno spiegato che “Il ricorso dell’imputato risulta accolto dopo una doppia condanna in sede di merito e contro le conclusioni del sostituto procuratore generale, che chiedeva l’inammissibilità: la Suprema corte annulla senza rinvio. Trova ingresso la censura della difesa secondo cui l’espressione incriminata non ha di per sé valenza diffamatoria: mancano, nella specie, gli elementi essenziali della diffamazione dal momento che l’articolo 595 Cp tutela il bene giuridico della reputazione, intesa come la considerazione personale di cui ciascuno può pretendere di godere nella società civile”. Insomma: affinché sia integrato il reato, la condotta avere un’attitudine offensiva, cioè essere suscettibile di diffusione e di arrecare pregiudizio alla stima e al rispetto che ogni consociato merito nel contesto di riferimento. Nel corso del processo civile la parte definisce “pezzente” l’avversario, che peraltro l’ha denunciato per truffa: gli avvocati della controparte ottengono di sapere a chi sia rivolta l’espressione e l’interessato presenta querela, costituendosi poi parte civile nel processo penale. Non è dato comprendere, tuttavia, il senso compiuto dell’esclamazione nel contesto, ma dalle sentenze di merito non emerge alcun indicatore secondo cui il vocabolo pronunciato in modo improvviso e rimasto isolato, fuori da un quadro d’insieme minimamente esplicativo, possa incidere sulla reputazione del destinatario nell’ambiente in cui quotidianamente vive e opera. Senza dimenticare che l’esternazione compiuta durante una causa innesta comunque un ragionevole dubbio sulla configurabilità di un vero e proprio attacco alla persona.
La Cassazione: non è reato dare del «pezzente» alla controparte
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