Suo più grande desiderio, quando era in vita, era quello di vedere proclamare suo figlio Rosario «Servo di Dio».

Ma il testamento di Vincenzo Livatino, morto lo scorso mese di maggio, sembra quasi «smentire» quel desiderio. Il padre del giudice Livatino, il magistrato ucciso dalla mafia nel settembre del 1990, ha infatti suddiviso in mille rivoli il suo cospicuo patrimonio immobiliare e finanziario non lasciando alcuna indicazione né per la costituzione di una ipotetica fondazione che ne potesse seguire da vicino il processo di canonizzazione (che sta andando sia pure lentamente avanti), né per una qualunque iniziativa che ne potesse perpetuare il ricordo nel futuro.

Ma è stato generoso fino in fondo perché si è ricordato del suo fido «sbrigafaccende», l’uomo cioè che per anni lo ha assistito nello svolgimento delle sue attività quotidiane, della badante e del figlio di quest’ultima, della figlia degli agricoltori che da sempre gli hanno curato la tenuta di contrada La Giuliana e anche di Ida Abate, la professoressa di Rosario divenuta negli anni una sorta di biografa del magistrato ucciso dalla mafia.

Ed è proprio il lascito alla professoressa Abate – un terzo della casa di famiglia che l’avvocato Livatino comunque non abitava più da tempo – l’unico vero riferimento alla memoria di Rosario.

L’altra casa, quella che Vincenzo Livatino ha abitato fino alla morte, situata nel centralissimo Viale Regina Margherita e che vale almeno 300 mila euro è andata alla signora che si curava della sua persona e che peraltro non è una parente. Alla figlia di quest’ultima è andato invece un terzo dell’altra casa (quella ereditata anche dalla prof. Abate e da un nipote).

La cospicua somma di denaro, investita in titoli, ammontante ad almeno 1,4 milioni di euro, è stata divisa in quattro parti uguali alla signora che si è occupata della sua persona, ad un nipote che risiede a Palermo, all’uomo che fino all’ultimo gli ha sbrigato le faccende quotidiane (al quale è andato pure il garage che custodisce ancora la Ford Fiesta guidata da Rosaro Livatino il fatidico 21 settembre del 1990 giorno dell’agguato di Gasena). L’altro 25 per cento è andato ad altri nipoti più lontani. E una cifra è stata anche lasciata alla persona che in questi anni con grande professionalità gli ha curato e fatto fruttare gli investimenti finanziari. La famiglia naturalmente intende applicare senza alcun indugio la decisione che Vincenzo Livatino ha affidato al suo testamento e che sembra confermare anche la sua «resistenza» in vita a quelle iniziative – come fondazioni e borse di studio – in memoria di Rosario. Una decisione che Vincenzo Livatino spiegava con il suo infinito amore per Rosario che la mafia gli ha portato via nel fiore degli anni.

FONTE: LA SICILIA