Saranno circa trenta i testimoni di giustizia che a fine mese dovrebbero essere assunti dalla Regione Sicilia in relazione alla legge che prevede il loro inserimento nella pubblica amministrazione. Hanno avuto il coraggio di denunciare la mafia, e per questo “ci troviamo a vivere lontani da tutti. Siamo morti che camminano”, spiega Ignazio Cutrò, presidente dell’associazione testimoni di giustizia. “Significa essere in guerra da soli contro la mafia. Io lo sono dal 1999 – prosegue – da quando ho fatto la prima denuncia. Ero un imprenditore che lavorava senza problemi e mi sono trovato a dover chiudere l’azienda. Ora vivo di aiuti da parte di parenti e amici. L’azienda ho dovuto chiuderla per le tasse non pagate, ben 38mila euro. Ho chiesto aiuto allo Stato, ma non è arrivato. Voglio ringraziare i carabinieri, sono i soli che ci hanno aiutato, anche nel fare la spesa. Comunque – rimarca – rifarei altre mille volte quello che ho fatto”. Ora, l’associazione ha chiesto un incontro al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, “perchè tutti i testimoni di giustizia vengano trattati nella stessa maniera, sia quelli che hanno scelto di vivere in una città diversa da quella di residenza sia quelli che invece sono voluti rimane nella propria città. Chiediamo – aggiunge Cutrò – stessa protezione, stessi diritti. Chi vuole rimanere nella propria terra deve essere tutelato”. Attualmente, invece, spiega Cutrò “chi sceglie di trasferirsi si vede riconosciuta mensilità e capitalizzazione, cioè una indennità del danno subito”.