Si è svolta in questa cornice di grande sensibilità e vicinanza la presentazione di “Ritorno a Santa Clara”, romanzo postumo dell’autrice, scomparsa prematuramente il 17 Dicembre 2019 a soli 38 anni.
“Delicatezza” è la prima parola che ha aperto la serata.
Proferita dal primo cittadino Salvatore Pitrola, molto vicino alla comunità, ha tracciato il tratto caratteristico della personalità di Jessica, ulteriormente presente nelle testimonianze dei compagni del liceo classico, accorsi alla presentazione. Gemma Raia, portavoce della classe, ha letto numerose lettere a lei dedicate: i ricordi si sono avvicendati, creando un’atmosfera di grande affetto e rimembranza.
La terribile assenza viene, in un certo senso, mitigata dall’avvincente opera che l’Athena Club l’11 Novembre, in presenza della dott.ssa Angela Ciotta, presidente del club, delle altre socie e della moderatrice, avv. Daniela Turco, ha voluto presentare al pubblico, accogliendo con calore la richiesta di Girolamo La Marca.
Il noto artista ravanusano, una volta “divorato” il libro, lo ha immediatamente giudicato meritevole di attenzione perché “rapito dalla trama e dalle descrizioni accattivanti dei luoghi”.
La Marca, dopo aver delineato il profilo umano e artistico della scrittrice in un bell’intervento coinvolgente e profondo, ha fatto riferimento alle passioni di Jessica: l’amore per i gialli e Hitchcock, per la politica e l’Inter che l’aveva portata a far parte del club “Le Militine”.
Ha riproposto varie poesie e pensieri dell’eclettica autrice, molto innamorata della scrittura in tutte le sue forme. “Leopardi, Montale e Cesare Pavese, poeta faro dei poeti difficili che provano solitudine – ha detto – sono stati i suoi riferimenti”. Infine, l’artista le ha dedicato una poesia, incisa su una targa e consegnata al padre della giovane, Gaetano Grifasi.
Inserito a due anni dalla morte dell’autrice nel concorso letterario “Donne di Carta”, bandito dalla Regione Sicilia, e nel circuito della letteratura, il romanzo ha anche ricevuto il diploma d’onore come finalista al Concorso Argentario 2022 “Premio Caravaggio”, seziona narrativa edita e giallo.
La presentazione di giorno 11 Novembre ha coinvolto anche me in un groviglio di sentimenti suscitati dall’occasione e dall’incalzante lettura dell’opera che mi ha riportato inevitabilmente indietro nel tempo, ai vecchi ricordi di adolescente quando – io diciottenne e Jessica quattordicenne – percorrevamo ogni mattina la strada per il liceo di Canicattì da Largo Aosta, dove un pullman lercio e pieno di studenti chiassosi e masticanti chewing gum ci scaricava per permetterci di raggiungere l’Ugo Foscolo tanto agognato.
Io e lei avevamo in comune la passione per la filosofia, la letteratura, la saggistica e gli ossimori: sovente nelle mattine assonnate scambiavano opinioni sugli scritti di qualche autore o su quel “popoloso deserto” che inghiotte Violetta arrivata a Parigi (La Traviata) o su quel “silenzio assordante” che facevano certe poesie e la vita stessa.
Lo stesso silenzio assordante provato alla notizia della morte di quella creatura profonda, dagli occhi pieni di orizzonti: impossibile non sprofondare nella sua anima.
Quell’assordante silenzio con la lettura del libro si è poi trasformato in un megafono di messaggi giunti al cuore in maniera spiazzante e in un sogno rasserenante che me l’ha restituita la notte prima della presentazione: mi consegnava un biglietto in carta bianca ripiegato in due che io non aprivo. Pochi minuti prima della presentazione ho ricevuto da una persona un biglietto bianco in carta, ripiegato in due, con annotate alcune parole presenti nel romanzo.
Carico di mistero, avventura, descrizioni coinvolgenti e colorate di luoghi spagnoli dove fantasmi e presagi si prendono la scena, gli occhi e la mente di chi legge, il romanzo si sviluppa su due binari paralleli della razionalità e dell’irrazionalità, lungo i quali la narrazione densa e fitta di colpi di scena, di domande e angosce si dipana travolgendo il lettore e conducendolo fino ad un finale che è un pugno nello stomaco.
Ho cercato di leggere “Ritorno a Santa Clara” con gli occhi di chi si accosta ad un’opera rompendo il filo che lega all’autore, ma sono stata poi risucchiata in una spirale di interrogativi vorticosi, oscuri e improvvisamente chiari: è lampante il messaggio che l’autrice lancia!
Lei è in quelle pagine, viva, con una filosofia sulla vita e sulla morte che scuote, ma al tempo stesso conforta: “La morte non cancella la vita, le nostre anime continueranno a vivere nel cuore delle persone che ci hanno voluto bene. L’amore vince la morte”.
Questo è quello che si legge tra le pagine del romanzo e nel biglietto che mi è stato consegnato.
E allora “Ritorno a Santa Clara” è per me anche un romanzo del ritorno a casa: la maestosa villa dei Marquez è connotativamente capace di rappresentare le origini, le radici, l’amore. L’amore che è un ritorno definitivo.
A pagina 117 del libro si legge: “Un altro ritorno a Santa Clara stava per consumarsi, non era il primo e forse non sarebbe stato neanche l’ultimo perché, come le diceva spesso Dolores, l’uomo è portato per sua natura a fuggire da ciò che conosce, a scoprire posti nuovi. Ma la vita è fatta di andate e ritorni e prima o poi si ci ritrova sempre a cercare la strada di casa”.
Ma la strada di questo ritorno che la protagonista compie nella tenuta della nonna, ormai defunta, è disseminata di interrogativi, di segreti celati e poi dischiusi su porte che sembrano voragini che fanno dirupare il presente nel passato:
“I segreti, nipote mia – dice la nonna – sono come cristalli. Bisogna maneggiarli con cura, altrimenti rischi di romperli”.
“Ma quali segreti erano stati generati da quella casa che aumentava i deliri di chi vi aveva vissuto?”.
Al lettore il compito di cercarli in un percorso ricco di analessi (flashback) che l’autrice sa sapientemente architettare in un intreccio affabulante, dove “tranelli” per la mente razionale si celano dietro tende pregiate, tra i quadri della sala delle pitture, nei cassetti chiusi e tra corridoi abitati nelle notti oscure da ghigni e presenze che risuonano tra mura lucide e antiche e strisciano serpeggianti lungo i pavimenti: “Il passato è una voragine che si apre su un abisso oscuro, che spalanca le sue fauci per divorare tutto”. (pag. 141).
E mentre la protagonista Aurora si sentirà sentinella della memoria, farà ricerche in una soffitta polverosa e la voragine diruperà la vita presente nella morte: “Aurora, non ti sporgere oltre il mondo dei morti”. Ma Aurora in questa potente macchina scenica, gestita da Jessica, esordiente ma dalla matura abilità di scrittrice, sarà richiamata da qualcosa di ancestrale.
Questo libro è un grimaldello: ci spostiamo lungo il solco del razionale e veniamo risucchiati dall’irrazionale: siamo davvero candele che si spengono al soffiare del vento?
Dove finiscono le nostre esistenze?
All’ineluttabile vita, all’ineluttabile morte e… all’inevitabile appartenenza a qualcuno che ci ha amato: non si va incontro all’ignoto da soli, ma accompagnati da chi ci ha profondamente tenuto nel cuore.
E non si rimane in questo mondo da soli fin quando ricordiamo chi è passato oltre quel muro.
“Nulla è terribile se lo si accetta” è una scritta che Aurora legge da qualche parte.
Ma è anche vero che nessuno di noi vuol essere dimenticato.
Siamo parte di una storia familiare che abbiamo attraversato e da cui ci siamo fatti attraversare.
Lasciatevi attraversare dal libro di Jessica Grifasi.
Serena Milisenna