Le grandi crisi economiche, il crollo di sistemi commerciali collaudati e sperimentati, impongono la ricerca di canali alternativi di distribuzione, soprattutto per il settore dell’agroindustria siciliana. Così mentre si spera, naturalmente, che le vertenze in corso procedano verso soluzioni positive, per salvare reti d vendita e posti di lavoro, bisogna darsi da fare per non lasciarsi franare il terreno sotto i piedi.

E così la Sicilia si muove, questa terra accusata troppo di essere fatalista, vittimista o, nel migliore dei casi, attendista. Reagisce la Sicilia che produce food ritenuto di nicchia, di assoluta qualità, dunque, ancora prima che da consumo locale, merce di lusso da esportazione. Reagisce entrando in un circuito virtuoso che viene alimentato dalla sempre più massiccia diffusione di catene alimentari italiane e, in particolare, siciliane nel mondo, e, ancora più direttamente, grazie alla presenza crescente di chef siciliani corteggiatissimi ormai in tutto il mondo. Basti pensare che una stima approssimativa parla di circa 75 mila ristoranti italiani nel mondo, con un’altissima percentuale di sicilianità, mentre di chef celebrati e che stanno in pianta stabile all’estero se ne contano almeno una trentina.


“Uno di questi – racconta Carlo Savoca, produttore agricolo di San Teodoro, nel cuore dei Nebrodi – è Bruno Marino. L’ho conosciuto a Mosca, in occasione del viaggio organizzato dalla Camera del lavoro di Messina per avviare scambi commerciali con quel Paese, ed è nato un rapporto con Bruno, che è originario di Tortorici, che potrebbe presto dare sviluppi molto interessanti”.

Quello di Savoca è un esempio lampante di gestione moderna del patrimonio più antico che vahta la Sicilia, la produzione della terra. Nella sua azienda, che gestisce con il padre e con il fratello, è passato dalle vecchie tecniche di allevamento di bovini, caprini e suini e di produzione di formaggi, soprattutto straordinaria ricotta, a macchinari tecnologicamente avanzati, acquistati con cofinanziamenti con l’Ue. Ora si è anche specializzato nella produzione di mozzarella, dopo tanti corsi in Puglia, da maestri di Putignano e Gioia del Colle.

Che cosa significa questo? Significa che l’azienda di Savoca potrebbe presto, grazie all’attività avviata dalla Camera di Commercio di Messina che ha puntato molto sugli scambi commerciali con i russi, avviare un export con Mosca. Proprio come stanno facendo da qualche anno, del resto, altre piccole e medie aziende del food siciliano, imprese che esportano prodotti del lattiero caseario, agrumi, ovviamente vini e liquori, moltissimo olio Dop, ma anche frutta secca, ortaggi.

Sono esattamente tutti quei prodotti che dovrebbero anche stare di diritto sui banchi della grande distribuzione organizzata e non solo in Sicilia, ma in tutta Italia e in Europa. Discorso questo che andrà ripreso al più presto, magari dopo la soluzione della grande vertenza di Aligrup e di quelle più piccole di molte catene di vendita di alimentari. Ma c’è una differenza tra la vendita, pur importantissima, nel circuito della Gdo e quella che i produttori potrebbero fare, magari stando dentro consorzi territoriali.

“Il vantaggio – spiega Carlo Savoca – sta nel fatto che quando si crea un canale diretto di vendita con chi utilizza i tuoi prodotti, si tratta solo sulla massima qualità, quindi anche sul prezzo di mercato adeguato a quella qualità richiesta e fornita. Questo non comporta soltanto un maggiore guadagno, intendiamoci, ma stimola, prima di tutto, a produzioni davvero capaci di soddisfare la richiesta dei ristoranti di queste catene internazionali, o, addirittura, degli stessi chef executive dei ristoranti che hanno anche la responsabilità degli acquisti delle merci più pregiate”.

E’ questo il punto, la spinta a dare e fare il meglio. Perché è naturale che per coltivare e portare avanti e, magari, sviluppare, questo canale, nei ristoranti di Mosca, di Londra, di Vienna, di Toronto, di Adelaide per citare alcune delle città dove il sicilian food è richiestissimo, devono arrivare le migliori arance, le provole dei Nebrodi più gustose, gli affettati fatti con il suino nero allevato con tutti i crismi, il pistacchio di Bronte. Se partono queste merci, se piacciono a chi le lavora e sono gradite da chi le consuma, sono merci che valgono parecchio, che possono compensare ciò che, purtroppo, ancora il mercato interno regionale e un po’ anche quello nazionale, non accettano, non richiedono, non apprezzano.

E’ per questo che Carletto Savoca e come lui centinaia di altri piccoli produttori d’eccellenza, si stanno dando da fare, stanno ricevendo sostegno logistico, come abbiamo detto nel caso dei Nebrodi, dalla Camera di Commercio messinese, ma anche nelle altre province dove enti, associazioni, organizzazioni imprenditoriali stanno puntando sul settore del food: del resto se ci sono centinaia di spaghetti house a Honk Kong, 500 italian restaurant a Mosca e altrettanti in Inghilterra, 1500 a Tokyo e migliaia nel Usa è chiaro che, fatta la naturale selezione, entrare nei punti stellati, magari con la raccomandazione di chef adorati, sarebbe davvero un business di rispetto.