Dal 15 gennaio, rimbalza sui giornali una notizia, che auspicavo da tempo, ma che ritenevo
arduo poter sentire: la reintroduzione dello studio del latino alle medie, le attuali secondarie
di primo grado.
La misura verrà proposta in forma facoltativa e a partire dal secondo anno, ma rappresenta
già un bel passo in avanti sul recupero di uno strumento utile a far acquisire le competenze
linguistiche che oggi latitano.
Da quanto insegno, esattamente vent’anni, ho potuto capire, sul campo, quanto l’ignoranza
della nostra lingua e il suo uso approssimativo dipendano dall’assenza del latino dai banchi
di molte delle nostre scuole.
Questa lingua, che non è morta, ma continua a vivere nell’italiano parlato correttamente, ci
aiuta, quasi più di ogni manuale di grammatica, ad entrare nei meccanismi interni del nostro
idioma. Se lo studio dell’italiano viene vissuto come un insieme di regole da memorizzare,
nella migliore delle ipotesi, o da applicare passivamente tramite esercizi la cui esecuzione è
spesso molto intuitiva, lo studio del latino comporta al contrario un affascinante viaggio
all’interno dei meccanismi linguistici. Il latino, infatti, è analisi logica applicata e la sua
traduzione ci consente di riflettere con senno di causa sulle funzioni logiche delle parole
nella frase.
Ci permetterà inoltre di riallacciare i rapporti temporali con tutte le sfaccettature del passato
dei verbi. Oggi si parla solo ed esclusivamente al presente, ormai pochi alunni sanno
coniugare il passato remoto o i tempi del congiuntivo, altro grande assente dalla nostra
quotidianità.
Come non parlare poi della povertà lessicale sempre più colmata dagli anglicismi, termini e
espressioni inglesi che fanno il loro ingresso ormai sistematicamente nella nostra
comunicazione, anche informale, e il cui uso finirà per trasformare l’italiano in una
succursale della lingua anglosassone?
Tutto questo ha portato ad un appiattimento e ad una mancanza di profondità che dalla
lingua passa al nostro modo di guardare alle cose e al mondo.
La semplificazione linguistica in atto, a mio parere, rispecchia la banalizzazione e la
superficialità dei tempi che stiamo vivendo, per cui bisogna prendere provvedimenti. Ho
detto “per cui” e penso all’onnicomprensivo “che” il quale sta soppiantando tutti gli altri
pronomi relativi insieme alle varie funzioni logiche rappresentate.
Lo studio del latino non è fine a se stesso, per questo non è inutile, come chi non lo conosce
sostiene. Se prima si diceva che il latino aiuta a ragionare, oggi sostengo che ci insegnerà a
parlare e a scrivere, abilità quest’ultima ormai drammaticamente in crisi come si evince non
solo dalla lettura spicciola di qualsiasi enunciato sui canali di messaggistica o sulle
piattaforme social, ma anche dalle dichiarizioni del professore Claudio Marazzini, ordinario
di Storia della lingua italiana e presidente onorario dell’Accademia della Crusca, a proposito
della opportunità del nuovo decreto del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe
Valditara. Marazzini ci informa che “dalle inchieste nazionali e internazionali, risulta che gli
italiani hanno gravi difficoltà nella comprensione dei testi scritti e nell’individuazione del
soggetto nel suo legame con il verbo, appena il soggetto stesso sia collocato in una
posizione non immediatamente prevedibile, in inizio di frase” e continua dicendo che “non
esistono solo Intelligenza artificiale, skill trasversali, tecnologie d’avanguardia e lingua
inglese”.
Nell’attesa che da opzionale lo studio del latino diventi obbligatorio, ma, come si sa,
omnium rerum principia parva sunt, non rimane che dare il benvenuto all’iniziativa.
Manuela Lazzaro