Sarebbe stato l’idraulico Giuseppe De Rubeis a sparare e uccidere il venticinquenne empedoclino Giuseppe Adorno, scomparso il 24 agosto del 2009, e rinvenuto cadavere dieci giorni dopo, all’interno di un canneto di contrada Milone, lungo la strada che collega il quartiere di Montaperto con Siculiana. Il pubblico ministero Giacomo Forte e l’aggiunto Ignazio Fonzo, nelle cui mani è ritornato il fascicolo dell’inchiesta, ad un anno dalla richiesta di archiviazione dell’indagine, avanzata dalla Dda e accolta dal gip del tribunale di Palermo, Giangaspare Camerini, sono ricorsi al tribunale del Riesame di Palermo, che ha accolto l’appello proposto, applicando a Giuseppe De Rubeis la misura cautelare in carcere. Anche se l’ultima parola spetterà alla Cassazione, che si pronuncerà a giorni. Il provvedimento di cattura nei confronti dell’idraulico empedoclino, era stato rigettato dal gip del tribunale di Agrigento, Alberto Davico. Negli ultimi mesi sono emersi indizi nuovi, tanto che il Gip ha disposto la riapertura del caso. Dalle indagini tecniche di laboratorio sul volante dell’auto Fiat Stilo di De Rubeis, è stata accertata l’esistenza di residui di polvere da sparo. E poi ancora De Rubeis nel giorno della scomparsa di Adorno, si sarebbe creato un falso alibi. Inoltre è stato accertato che l’indagato era a conoscenza dei contrasti tra gli Adorno e i fratelli Giuseppe, Gerlando e Giovanni Distefano. Per garantirsi l’impunità, indicò i tre Distefano e Giuseppe Filippazzo come gli autori dell’omicidio. L’arma del delitto sarebbe stata nelle disponibilità di De Rubeis. Forse sarebbe la stessa, venduta a Giuseppe Adorno per 1.100 euro, e poi, mesi dopo restituita allo stesso De Rubeis.