Così era cresciuta Michelina, come un fiore in un vaso troppo piccolo per contenere le radici che divenivano sempre più forti e tentavano di fuggire verso la luce finché, a sedici anni compiuti, il suo signor Padre non era andato a prenderla con carrozza e lacchè ed in parlatorio aveva argomentato con la solita maschera di distacco ed indifferenza, indifferente al cuore in tumulto della fanciulla presago di un non so che di negativo poiché la visita era fuori tempo. Pur tuttavia, dopo aver baciato la mano al genitore, si dispose all’ascolto a capo chino:” E’ giunto il tempo che tu lasci il convento delle buone suore per andare a nozze. Le ragazze della tua età sono già madri di figlioli che allietano il casato pertanto è decisa la tua partenza e tornerai a palazzo per la festa di fidanzamento che sarà esattamente tra un mese.” Il laconico comunicato preludeva all’obbedienza senza replica ma Michelina, sorprendendosi essa stessa per l’audacia e arrossendo fin sotto la cuffia, disse con un filo di voce:”Potrei sapere chi mi è destinato come sposo?” Il padre la guardò sorpreso da tanto ardire ma le rispose lo stesso:” Barone Don Diego di Montecalvario, signore di Roccapertusa , Pizzoalto e Sottomonte. Tanto ti basta, il resto lo saprai a suo tempo.” Si allontano lasciandola sola in mezzo alla stanza.
Michelina gustava quella cavalcata inebriandosi per la sensazione di libertà che sentiva penetrarle fin dentro l’anima. Il vento sul viso, il percorso da seguire, l’indipendenza totale, la bellezza della natura gonfiavano il suo cuore fin quasi a farlo pulsare come il mantice della fucina di un fabbro. Nessuno a comandarla, nessuno a preordinarle il cammino, padrona di se stessa e della sua vita; era una sensazione nuova e strana che con il vento le penetrava nelle narici e scendeva giù giù fino allo stomaco gonfio e sazio non già di cibo ma di qualcosa che non aveva mai potuto gustare però su cui aveva tanto fantasticato: la libertà. Essa stessa non sapeva definire questa singolare sensazione che per tanti anni aveva albergato nel suo animo, sopita ma viva; era quella stesso turbamento che , a volte, la induceva a disubbidire a Suor Vincenzina cui doveva opporre, però, la maschera della contrizione che non sentiva dimorare per niente dentro di sé anzi la induceva a ritenere la suora ingiusta e così si isolava sotto il muro di cinta che per viltà non aveva mai scavalcato . Non sapeva come fosse il mondo fuori dalle mura al di là del grande portone, come si svolgesse la vita delle persone libere e tutto ciò la spaventava ma le faceva sperare di potersi scrollare un giorno dalla groppa quel pesante fardello che la opprimeva come un macigno. Ora si sentiva più determinata anche se, in fondo, la realtà era diversa: prima era prigionia ora era parvenza di autonomia. Immersa nei suoi pensieri non si accorse del serpente che, paratosi davanti agli zoccoli di Violetta, costrinse l’animale a scartare terrorizzato facendogli iniziare una corsa ingovernabile in pieno galoppo tanto da far perdere le briglie e rendere precario l’equilibrio della ragazza la quale iniziò a recitare una preghiera temendo che la sua ora fosse giunta. Il suo grido di aiuto si materializzò nella figura di un cavaliere che, correndo verso di lei a spron battuto, riuscì a frenare la corsa ma Michelina capitombolò lo stesso in terra e svenne. Quando riaprì gli occhi intravide il sole tra i rami dell’albero ed emise un lamento mentre una voce calda e profonda la scuoteva dal torpore: “Signorina, signorina, come state?”Fissò lo sguardo sul volto che, chino sul suo, rivelava un forte stato di ansia quasi febbrile . “ Bevete, signorina, vi farà bene” Il viso, aperto e rassicurante, rivelava un giovane dagli occhi profondamente azzurri, dal naso diritto evidenziato da baffetti sottili appoggiati sulle labbra che si aprivano su denti bianchissimi e regolari , ricchezza del sorriso appena abbozzato. Si alzò per aiutarla mostrando statura imponente e muscolatura poderosa fasciata dalla camicia bianca e dal gilet marrone; completavano l’abbigliamento pantaloni di fustagno e stivali al ginocchio. Il giovane non perse tempo e recuperò Violetta che era tornata intanto indietro dalla padroncina. Con molta galanteria, le porse la mano e l’aiutò a rialzarsi chiedendole:”Dove abitate, signorina?” “A palazzo Rivarosa” fu la risposta immediata. Egli proseguì:” Credo che non possiate cavalcare, dovrete adattarvi in sella con me. Permettete che mi presenti: Matteo Iacoboni” E così dicendo la issò in groppa all’animale sedendosi egli davanti a lei; essa gli cinse vita di lui per sorreggersi mentre la bestia si muoveva a lenta andatura e le sembrò improvvisamente che il mondo si rivestisse di armonie profonde e che le piante sussurrassero dolcemente:”Matteo, Matteo…” chinò la testa e la poggiò mollemente sulla schiena del suo cavaliere percependo il brivido che scosse il ragazzo fin nel profondo della sua persona. Michelina sorrise leggermente e chiuse gli occhi per non rompere l’incanto di quell’attimo che , purtroppo, finì una volta giunti a Palazzo dove venne accolta dal padre annuvolato il quale la guardò incenerendola, poi chiese al giovane chi fosse ed egli si presentò: “Sono Matteo Iacoboni studente di Legge in visita dai miei cugini a Montelepre, per servirvi. ” Il Barone lo guardò e sorridendo disse di rimando:”Il vostro accento è straniero, di dove venite?” Matteo si sentì infastidito da questa specie di interrogatorio e decise di rispondere mentendo:” Vengo da Roma” “Siete un papalino dunque. Vi ringrazio per aver soccorso mia figlia, tanto cara quanto sventata, permettetemi di ricambiare la gentilezza attendendovi a Palazzo per la sua festa di fidanzamento .” Il tono non ammetteva repliche per cui si passò ai saluti.
Maddalena Rispoli