La Baronessina Michelina di Rivarosa si era svegliata molto presto in preda ad una forte eccitazione che l’aveva fatta riposare ben poco durante la notte. Dopo dieci anni era ritornata a dormire nel suo letto da cui era stata strappata per entrare nel convento delle Crocifisse di Palermo come educanda. Secondo la tradizione di casa, il Barone, Signor Padre, aveva deciso che le buone suore avrebbero potuto darle una sana educazione surrogando la figura materna che essa non aveva conosciuta essendo morta nel metterla alla luce. E così una mattina di primavera, caricata la dote da portare con sé, la carrozza guidata dal vecchio Turi aveva condotto lei, bimba di sei anni ed il padre, fino al pesante portone di quercia che una volta chiuso alle sue spalle si sarebbe riaperto solo per farla uscire sedicenne sposa di un uomo che non aveva mai visto in vita sua. Il matrimonio dalle lunghe trattative per via della dote, era stato combinato a sua insaputa ed ignorava quindi che lo sposo era il Barone Diego di Montecalvario, discendente da lombi più che sacri che avevano arricchito la famiglia di sangue spagnolo e di uno stuolo di cardinali, Gran Giudici della Corte Criminale del regno delle due Sicilie, padroni e signori di latifondi che potevano essere percorsi solo cavalcando per giorni dall’alba al tramonto. A Palermo sorgeva il Palazzo del Barone di Rivarosa, severo e maestoso, ben tenuto ma continua fonte di interventi per mantenerlo nelle migliori condizioni e non avrebbe potuto essere diversamente dal momento che nei suoi saloni accoglieva la più qualificata nobiltà del luogo, pronta ad accorrere agli inviti per gustare gli speciali manicaretti preparati da Monsù, il cuoco francese che aveva saputo coniugare mirabilmente la cucina isolana con quella francese generando specialità paradisiache di cui in tutti i salotti della città si parlava ed in special modo dei sorbetti, vero capolavoro, servito in coppe d’argento purissimo scolpite dai più raffinati cesellatori; solo essi sapevano dar vita agli angioletti che si libravano ai lati dei manici. La processione di Santa Rosalia era attesa con palpitazione specialmente dalle signore che per tempo avevano sconvolto sarte e modiste con i modelli da copiare direttamente dalla moda di Parigi, esse erano attente osservatrici di scollature, ampiezza della gonne, acconciature ed alcune erano arrivate a tal punto di follia da ordinare alcuni capi direttamente dalla Ville Lumière, sfidando i brontolii dei mariti irati per tanto speco. Il piano nobile del Palazzo brulicava di operosità: i balconi si sarebbero arricchiti grazie alle più belle coperte stese per il passaggio della Santa, i grandi lampadari di cristallo avrebbero avuto tutte le candele accese, i pesanti tappeti con il vetusto stemma al centro non avrebbero conservato nemmeno un granello di polvere dopo essere stati battuti con tanto ardore, i mobili lustrati come specchi si sarebbero pavoneggiati da soli; insomma il Palazzo era un formicaio in cui la servitù aveva trovato il modo di raddoppiare le proprie mani. In due drappelli si fronteggiavano armati di strofinacci i camerieri e le cameriere capitanati dai comandanti fieri e tirannici: Addolorata e Turi, responsabili dell’andamento degli interni in cui tutto doveva essere orchestrato senza alcun difetto. Era questione di doverosa responsabilità verso il padrone. Turi, impettito nella sua livrea dai galloni d’oro, riusciva a mettere sull’attenti con un solo sguardo e quando giungeva silenzioso per controllare nessuno osava alzare gli occhi dal lavoro che stava espletando, anche gli stallieri si toglievano la coppola e si inchinavano al suo passare speranzosi di essere notati il che avrebbe potuto significare una posizione migliore entrando nel rango della servitù di casa. Ma non era facile. Don Turi esigeva: pulizia nella persona, solerzia nel lavoro, obbedienza totale al comando, intuito nel prevenire l’ordine tenendo presente che il suo motto era:”Servitù non servilismo”. Solo in cucina non si sarebbe mai permesso di usare la sua autorità; era infatti il regno di Monsù e mai e poi mai avrebbe voluto un confronto sapendo che ciò avrebbe compromesso la sua posizione. Il cuoco francese dava un segno distintivo alle case nobiliari che sarebbero state ritenute di scarsa importanza se nelle cucine gli ordini non fossero stati impartiti da uno chef che avrebbe dovuto racchiudere in sé non soltanto la sapienza culinaria ma anche quella dell’addobbo, delle sorprese con cui stupire gli ospiti, del coordinamento dell’esercito che popolava le cucine, delle profumazioni da adoperare nei cibi per renderli sconvolgenti e unici per quei palati così esigenti. Doveva sapere anche di calcolo poiché a lui toccava fare le ordinazioni sufficienti per la casa e per gli ospiti nei pranzi ufficiali; guai se il cibo fosse stato insufficiente, sarebbe stata una vergogna incancellabile. Donna Addolorata comandava il drappello delle cameriere sorvegliando attentamente anche la virtù delle ragazza che doveva restare immacolata fino al matrimonio, la trasgressione avrebbe comportato l’immediata espulsione dal Palazzo. Le ragazze dovevano essere impeccabili anche nell’abito nero, abbottonato fin sotto la gola e coronato dalla crestina bianca inamidata ingentilita da due nastri che pendevano sulla nuca e dal grembiulino, anch’esso bianco, che spezzava tutto quel nero dominante. La comandante, così era intesa dalle cameriere, mostrava in bella vista sul fianco il mazzo di chiavi che aprivano le porte delle stanze ove si custodiva la biancheria , il vasellame pregiato e quanto faceva parte del corredo della casa. Anche per lei, però, l’impero si fermava alle porte della grande cucina ove Monsù impartiva ordini con un linguaggio che navigava tra il dialetto locale ed il francese non sempre di facile comprensione per i sottoposti i quali avevano comunque imparato a ben interpretare dal tono della voce, dai gesti, dal movimento dei baffetti ben curati, dagli occhi mobilissimi che sapevano cogliere ogni minuzia fuori posto subito rimediata dagli ordini imperiosi forieri di terribili rimbrotti che gli avrebbero fatto ballonzolare il ventre prominente. (segue)

Maddalena Rispoli